Letteratura

Vasilij Grossman,”Vita e Destino”. Un romanzo definitivo

10 Gennaio 2018

“Nella sua irripetibilità, nella sua unicità risiede l’anima di ogni singola vita – la libertà. Il riflesso dell’Universo nella coscienza umana è alla base della forza dell’uomo, ma la vita diventa felicità, libertà, valore supremo solo quando l’uomo esiste come un mondo che mai potrà ripetersi nell’infinità del tempo. Solo quando riconosce negli altri ciò che ha già colto dentro di sé l’uomo assapora la gioia della libertà e della bonta.”

Vasilij Grossmann, “Vita e destino”

Ci sono monumenti di pietra, che sono monito e ricordo fisico di ciò che è stata la Storia. Poi ci sono libri monumentali che, quando si incontrano, scolpiscono nella mente e nell’animo del lettore parole solenni e profonde. “Vita e destino”, capolavoro dello scrittore russo Vasilj Grossman, è un monumento.

Non si tratta di un libro facile. Ma non ci si lasci intimorire dalla mole, dalla trama apparentemente discontinua o dall’intrico di personaggi – tra l’altro reso ancor più aggrovigliato da nomi e patronimici difficili da mandare a mente: una volta che si inizia questo viaggio si viene letteralmente rapiti. Dalla potenza della parola, distillata con il ritmo dolce della poesia, anche quando tratta l’abiezione dell’umano che si dispiega dalle fiamme naziste; dalla solenne narrazione della Storia, in uno dei momenti chiave – l’assedio di Stalingrado – del drammatico gorgo di tenebra che è stato il cuore del Novecento; dai lampi di profonda sapienza filosofica che l’autore dona all’umanità attraverso i dialoghi dei personaggi o attraverso inaspettati cambi di ritmo nella narrazione, che diventa saggio o proclama.

Il romanzo è imperniato nella Stalingrado dilaniata dall’epica battaglia, nel periodo attorno al 1942-1943, negli anni in cui “in quel mugolare di muti e parlare tra ciechi, nella mescola densa di uomini tenuti insieme dall’orrore, dalla speranza e dal dolore, nell’incomprensione e nell’odio di gente che – comunque – parlava la stessa lingua, prendeva tragicamente forma una delle peggiori catastrofi del XX secolo”.

Il nucleo centrale dei personaggi da cui si dipanano le singole storie di vita e di destino è quello della famiglia Šapošnikov: le donne di famiglia, i mariti delle stesse, i figli e le figlie sono le figure da cui l’autore parte per narrare le singole storie che costruiscono l’impianto del racconto. Ma l’elenco dei personaggi è sterminato e, seppur a mio avviso quelli chiave si contino sulle dita di una mano, ciascuno di essi – da Štrum a Kacenelenbogen, da Aleksandra Vladimirovna Šapošnikova al piccolo David, dallo Sturmbannführer Liss al vecchio comunista Mostovskoj – diventa sempre un fulcro narrativo grazie alla smisurata maestria di Grossman.

Va detto che nonostante la precisa e dettagliata collocazione storica del testo, i temi trattati così chiaramente collocati nel tempo e l’inserimento nel racconto di personaggi realmente esistiti (i generali tedeschi Paulus e e Schmidt, quelli russi Eremenko e Chujkov e molti altri), in alcuni momenti si ha la sensazione di avere a che fare con un romanzo distopico, tanto è limpida e perfetta, in un certo senso “definitiva” la descrizione dell’inferno di una società corrosa dalla cancrena totalitarista, sia essa nazista o stalinista.

In questa analisi sociale, politica e filosofica della tirannide sta, a mio avviso, uno dei nuclei centrali del romanzo, ossia nella lucida e letteraria descrizione dell’abisso in cui l’umano soccombe quando  trionfa la violenza della dittatura. La grandezza, sino a oggi da me mai incontrata, di Grossman sta proprio in questa capacità di narrare l’abiezione delle due immense tragedie del novecento – nazismo e stalinismo – non attraverso dichiarazioni esplicite, bensì attraverso il solo, enorme, potere della Letteratura.

Emblematico, a tal proposito, è il colloquio notturno tra Liss, comandante di un lager nazista e il bolscevico Mostovskoj, in cui l’ufficiale delle SS dice al vecchio comunista che “[…] Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? […]”. Cosa è questo se non uno spietato giudizio di valore sulla simmetria tra sistemi criminali?

L’immensità di “Vita e Destino”  è difficilmente confinabile in un post. Ci sono pagine e pagine che andrebbero trascritte e meditate. Come quelle, altissime, che descrivono i tratti profondi e mortali del totalitarismo, dove però Grossman dice anche che il desiderio congenito di libertà non può essere amputato; lo si può soffocare ma non distruggere. Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere. Il fondamento del totalitarismo è la violenza: esasperata, eterna, infinita, diretta o mascherata. L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso sul nostro  futuro.”

Oppure quelle che narrano il drammatico cammino di Sof’ia Osipovna con il piccolo David nelle camere a gas di Birkenau, pagine struggenti che sarebbe opportuno fare imparare a memoria alle nuove generazioni. Per non dire della narrazione dei tormenti di Strum, fisico e accademico, il cui sapere cristallino è comunque subordinato al potere smisurato di  Stalin che – con una telefonata – cambia il corso della sua carriera (e della sua vita), facendogli sentire “il respiro caldo del grande Stato“. O ancora nel seguire il destino di Krymov – commissario comunista – che sperimentando la spietatezza dell’onniscenza di uno Stato tirannico, diviene vittima della persecuzione fondata su sospetto, delazione e coercizione.

Ma in fondo a questa oscurità, tanto densa quanto drammaticamente reale, in “Vita e Destino” si intravede una speranza flebile ma resistente; una traccia fragile che, in mezzo a sangue, terra, acciaio, morte continua a persistere. La traccia dell’umano che si fa breccia anche nell’inferno. La traccia di “quel silenzio (che) custodiva il ricordo del fogliame dell’anno prima, del fragore delle piogge, di nidi costruiti e abbandonati. dell’infanzia, del lavoro ingrato delle formiche, della perfidia e dei furti di volpi e nibbi, di una guerra di tutti contro tutti, della cattiveria e della bontà nate e morte nello stesso cuore, di tempeste e di tuoni che facevano tremare le lepri e i tronchi degli alberi. E in quella penombra fresca, sotto la neve, riposava la vita passata: la gioia di un appuntamento d’amore, il timido chiacchiericcio d’aprile degli uccelli, i primi incontri con quegli strani vicini che sarebbero diventati familiari. Dormivano i forti e dormivano i deboli, dormivano gli intrepidi e i pavidi, i felici e gli infelici. […] Eppure nel freddo del bosco la primavera si percepiva meglio che sulla radura illuminata dal sole. Il silenzio del bosco era più triste del silenzio d’autunno. In quell’assenza di suoni si udivano i gemiti, le lacrime versate per i caduti e la gioia furiosa della vita… Era ancora buio, faceva freddo, ma tra pochissimo porte e finestre si sarebbero spalancate e quella casa avrebbe ripreso vita, riempendosi di risa e pianti dei bambini, dei passi frettolosi e gentili di una donna e di quelli decisi del padrone di casa”.

“Vita e destino” non è una lettura; è un viaggio profondo nell’umano. “Vita e destino” è un romanzo di inaudita bellezza: non è mai troppo tardi per donarselo.

Autore: Vasilij Grossman
Editore: Adelphi, Milano
Pagine: 750
Prezzo: € 18,00  (cartaceo)
Data di pubblicazione:  2008

@Alemagion

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