Letteratura
Un’educazione milanese. Storia e storie di una Milano dell’anima
Dopo il jazz, le montagne d’Abruzzo, il mare di Orbetello, la cena a Forte dei Marmi, dopo l’annuncio della strage dell’Italicus, l’arrivo a Milano disciplinò i pensieri e le emozioni. Toccava essere all’erta e toccava anche essere felici.
Un’educazione milanese, romanzo di Alberto Rollo finalista al premio Strega, è la dimostrazione di quanto una città possa influenzare la storia personale, politica e sociale di chi la abita. In questa esplorazione urbana che procede – in un alternarsi di presente e passato – per le vie di una delle più discusse metropoli europee dal punto di vista urbanistico, Rollo ricostruisce la sua autobiografia a partire dai caseggiati popolari di una Milano anni Cinquanta che pare infinitamente lontana dai quartieri gentrificati nei quali si muove la camminata contemporanea del narratore.
Il racconto procede su diversi piani che, intrecciandosi in modo complesso, resituiscono la ragnatela di una mappatura urbana attraverso i decenni, attraverso gli sguardi differenti di chi la popola: il padre di Rollo, operaio specializzato attento all’operosa concretezza del “fare” e orgoglioso della sua appartenenza alla classe operaia, gli amici di periferia, compagni di esplorazioni tanto fisiche quanto fantastiche, i compagni di studi – crescendo e nell’intrecciarsi dei piani spazio temporali fra anni Sessanta e Settanta, fra periferia e centro – appartenenti alla borghesia milanese, i compagni di lotta, nei tinelli delle case popolari attrezzate a foresteria in occasione delle grandi manifestazioni e nei salotti “buoni” e militanti meneghini. Come in una ripresa cinematografia il campo passa dal primissimo piano dei volti di una famiglia a tavola, nella cucina illuminata dal televisore, ai caseggiati del circondario, ai quartieri vicini e – valicando ogni volta un ponte (tanto toponomastico quanto spirituale), nell’incessante rumore della metropoli, fatto di tram, di voci, di clacson – alle campagne che fanno da cornice alla città. Il punto di fuga si sposta, la messa a fuoco si allarga e restringe e anche il punto di vista del protagonista muta.
La vera protagonista però rimane Milano, una Milano immaginaria, proprio perché stratificata – nella mente dell’autore – su più epoche e assimilata attraverso la vita quotidiana e i costanti riferimenti culturali ai quali Rollo si appiglia per decodificarne l’essenza: l’identità operaia, la morale piccolo borghese, la spinta rivoluzionaria, la trasfigurazione letteraria dei suoi artisti e scrittori, lo sguardo del ragazzino e quello dell’uomo che cerca di comprendere il grande cambiamento di una città passata dalle fabbrichette ad Expo.
Rollo non ci propone una identità di Milano, ma – per singoli fotogrammi – un assaggio di quello che Milano è, è stata, ha rappresentato per il suo percorso di formazione e per la storia recente italiana.
Uno per uno, attraverso le vie cittadine, l’autore scardina gli stereotipi meneghini passando dal primo piano al primissimo piano e decifrando ciò che si nasconde sotto i clichès con i quali Milano è stata venduta al mondo. La madre di Rollo, sarta fra cartamodelli e passamaneria, si nasconde dietro la Milano delle sfilate nella settimana della moda. Il padre e la sua officina, che ha contribuito a costruire, con le mani, il mondo immateriale della fiorente economia milanese. Cercando di spiegare Milano, di darle un ordine, un senso, Rollo cerca di spiegare sé stesso e una generazione, il difficile passaggio dal mondo dei padri degli anni Cinquanta a quella dei figli degli anni Settanta, dalla famiglia operaia al collettivo, dal collettivo alla totale frammentazione di oggi, di una Milano che parla tante lingue e nella quale può capitare di non comprendersi a una fermata della Metro. Forse perché si era andati lì per perdersi.
Un’educazione milanese non è una guida letteraria di Milano. Difficilmente il lettore che cercasse di ripercorrere i passi di Rollo potrebbe ritrovare quegli stessi spazi, come invece accade per molti romanzi in cui la città è co-protagonista. Ma il lettore potrà trovare la sua Milano, costruire la sua impressione, individuare il suo punto di fuga. Perché l’educazione milanese è quella ricevuta dall’autore, ma è anche quella che riceve il lettore che, arrivato alla fine del romanzo, conserva una sua sensazione di Milano, che sembra quasi una nostalgia.
Un romanzo che fa venir voglia di ritrovare Milano anche a chi, forse, non l’ha mai visitata o conosciuta veramente. E molto racconta di una metropoli in cui, per nella confusione generata dall’essere “al centro di ciò che succede”, c’è spazio per tutti. Anche per chi – in realtà – è soltanto in cerca del suo spazio interiore.
Alberto Rollo, Un’educazione milanese, Manni, 2016, pp. 317.
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