Famiglia
Un’altra scuola è possibile: l’esempio di Mario Lodi
Ormai da anni si susseguono incessanti le ipotesi su una riforma della scuola italiana, che sta stagnando in una crisi sempre più profonda e complessa.
E tutte le ipotesi che, dal governo Berlusconi fino all’attuale governo Renzi, sono state fatte per una scuola più vicina ai bambini di quanto non sia l’attuale, sembrano ancora lontane e meno probabili di quanto non lo fossero le riforme fasciste della legge Gentile.
Ma è esistito qualcuno che, con le armi della fantasia e dell’allegria, ha cercato di dare un senso alla scuola italiana, con lavori e progetti che avvicinassero non solo i più piccoli ma anche gli adulti al magico mondo dell’infanzia?
Quel qualcuno, nell’Italia del secondo dopoguerra, è esistito davvero e si chiamava Mario Lodi, maestro, pedagogico e scrittore di libri per ragazzi.
Nato a Piadena, in provincia di Cremona, il 17 febbraio del 1922, Lodi raccontò la sua infanzia nel libro di memorie “Il corvo” pubblicato nel 1971.
Come si vede nei vari capitoli che compongono il romanzo, il piccolo Mario visse i primi anni della sua vita in una famiglia affettuosa ma esigente, che lo spingeva a dare il suo meglio nello studio, com’è ben illustrato nel racconto “I due quattro” dove il protagonista mente a sua madre su alcuni compiti in classe risultati insufficienti, ma che si riscatta con un brillante esame alla fine dell’ultimo anno di quinta.
Un altro avvenimento importante nella vita di Lodi fu la scoperta, dopo la notizia della morte del noto socialista Filippo Turati, delle evidenti simpatie di sinistra del padre, che lo avvicinarono sempre di più all’antifascismo.
Mentre si stava laureando presso l’Istituto magistrale di Cremona, un Lodi ormai adolescente iniziò a partecipare alle prime manifestazioni contro il fascismo, che sarebbero sfociate in un lungo periodo di detenzione nel biennio 1944 – 45.
Con la fine della seconda guerra mondiale, il giovane maestro venne assunto presso la scuola di San Giovanni in Croce con la qualifica di maestro in ruolo e fu proprio lì che si rese conto di qualcosa di sconcertante.
Lodi capì che, di fatto, nessuna delle qualifiche come maestro serviva in qualche modo ad aiutare i bambini della sua classe, dotati di un’immensa capacità creativa, che però finiva per essere limitata dal lavoro scolastico.
E allora nella mente del giovane maestro nacque il pressante bisogno di ideare una scuola dove i bambini e il maestro potessero lavorare insieme a progetti educativi che sarebbero stati utili a entrambi.
Dalla sua casa di Piadena, Lodi iniziò a collaborare con il movimento di Cooperazione Educativa, con dibattiti, seminari e spettacoli, mentre nel frattempo lavorò alle ricerche dei Quaderni di Piadena, che venivano prodotte dai ragazzi della Biblioteca Popolare della Cooperativa di Consumo, oltre alla fondazione del Gruppo Padano di Piadena nel 1957.
Nel frattempo Mario era stato trasferito presso la scuola elementare di Vho, una delle tante frazioni di Piadena, dove iniziò ad elaborare i primi veri lavori di cooperazione con i suoi piccoli alunni.
Il resoconto di alcuni di questi lavori, come la ricerca sulla storia di una cascina lombarda, favole realizzate dai più piccoli e una tesina sulle filastrocche popolari, vennero pubblicate nei saggi “C’è speranza se questo accade al Vho” e “Il paese sbagliato”, mentre nel 1962 uscì la prima edizione del suo romanzo più famoso “Cipì” storia di un uccellino che si affaccia sul mondo dei grandi.
Nel 1963 Lodi incontrò Don Lorenzo Milani, fondatore della scuola di Barbiana, e intrecciò con lui una lunga corrispondenza, mentre nel 1970 divenne il direttore del gruppo di ricerca della Biblioteca di Lavoro, che nel corso degli anni avrebbe prodotto 127 volumetti per la scuola.
Anche dopo il ritiro dall’attività d’insegnamento, avvenuto nel 1978, l’instancabile Lodi non cessò di aiutare i bambini.
Nel 1983, pubblicò il primo numero di “Il giornale dei bambini” dove indagava il rapporto tra la fantasia dei bambini e la televisione, poi esplorato ancora di più nel romanzo “La Tv a capotavola” del 1994 e nel saggio “A tv spenta” del 2001.
Quando nel 1989 vinse il premio internazionale Lego per l’infanzia, Lodi decise di usare i proventi di quel premio per fare qualcosa di utile per i bambini.
Nacque cosi, in una cascina di Drizzona, una frazione di Piadena, la Casa delle Arti e del Gioco, un laboratorio, dove vengono analizzati i linguaggi del mondo, poi ampliata nel corso degli anni con un Centro di Studi e Ricerche sul mondo dei bambini e una Pinacoteca dell’età evolutiva.
Gli ultimi anni di Lodi lo vedono al centro di un dibattito sempre più drammatico sulla figura del maestro nella scuola italiana, dibattito che continuerà fino alle morte, avvenuta il 2 marzo del 2014 presso la casa di Drizzona.
Ma il sogno di Lodi di una scuola italiana a misura di bambino non è morto con lui, infatti, mentre le sue opere vengono ristampate in tutto il mondo, la figlia Cosetta con un piccolo gruppo di operatori continua a promuovere le tante attività della Casa delle Arti e del Gioco, rimando fedele agli ideali del suo papà.
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