Letteratura
Una storia quasi solo d’amore: il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo
“Aprile trema. Il più crudele dei mesi? o il più dolce?”
Ci sono parole che scivolano via, le leggi e non resta niente. Nulla a riecheggiare nella testa, giorno per giorno. E ci sono parole che allignano, ti entrano in circolo nel sangue, rimbalzano tra lo stomaco e la pancia, girano nella testa e non te ne liberi più. Con Paolo Di Paolo funziona così: lo leggi – anzi ti immergi nelle pagine – lo apprezzi, ti lasci accarezzare dalle frasi, dalle vicende che compone, dettaglio dopo dettaglio, dialogo dopo dialogo, silenzio dopo silenzio, con quei suoi non finali, tanto amati dai lettori più fantasiosi. Ebbene, questo scrittore italiano, classe 1983, candidato allo Strega nel 2013 con il suo bellissimo, irripetibile Mandami tanta vita, è tornato in libreria con un nuovo romanzo. Si tratta di Una storia solo quasi d’amore, pubblicato da Feltrinelli. Siamo nel 2013, a Roma. Flaminio, detto Nino, ha vent’anni ed è appassionato di teatro. È da poco tornato da Londra, lasciando un lavoro occasionale e una ragazza con cui la convivenza nella city del Regno Unito si è rivelata improvvisata e fallimentare. A richiamarlo a Roma è Grazia, la sua insegnante di teatro. Vuole affidargli un laboratorio teatrale per ultracinquantenni: obiettivo finale inscenare Le false confidenze di Marivaux.
Alla fine di una di queste lezioni, Nino conosce Teresa, trent’anni e uno di quei visi senza tempo e dai mille segreti. Nino resta abbagliato dalla spigliatezza di Teresa, dalle sue affermazioni, dai suoi gesti, dalla sua bellezza, dalle cose che di lei non capisce (la sua sicumera che scema in dolcezza di colpo, la sua fede in Cristo, la sua perseveranza). Se Teresa è una ragazza in rotta con i luoghi comuni, abituata a non nascondere le emozioni, Nino non è da meno. Canzonatorio ai limiti del cinismo, irritabile, viene fuori energico e capace di riconoscere la bellezza, di perdere il sonno per una ragazza che pare sfuggirgli.
La narrazione è affidata a Grazia (“Era bello vedervi immersi in ciò che non potevo riavere, meravigliosa confusione del corpo e della mente, incertezza e slancio, coglioneria totale, inesperienza e feroce presunzione, capacità di sentire e godere. Ero felice, non ve l’ho detto, che vi foste incontrati- due fra miliardi di esseri umani, quel lunedì pomeriggio di fine ottobre dopo le sette – e che non vi foste persi subito”), che ripercorre l’intera vicenda, a volte stando ai margini, altre al centro dei fatti, testimone non solo di un innamoramento fuori dal comune, ma pure di un confronto generazionale. (“Vorrei dirvi molte cose, anche se nessuna è indispensabile: di godervi le cose, questo sì, e – come Phileas Fogg nel suo giro del mondo –di non avere fretta, o paura di fallire”).
Di Paolo mette in relazione un ragazzo e una ragazza d’acchito incompatibili, li fa innamorare, finché la differenza d’età, di vedute, di stili di vita perde consistenza, e lievita la curiosità, che mai è così intensa tra due persone in un’altra fase del rapporto. L’impianto narrativo è impeccabile: Grazia racconta, è un personaggio a tutti gli effetti, eppure si dissolve man mano, riflettendo solo Nino, Teresa e la loro gioventù. Dagli occhi dei due protagonisti passano osservazioni, consapevoli o inconsapevoli, sulla vita, il teatro (metafora dell’esistenza per antonomasia), la religione, l’amore, le convenzioni, la personalità, lo stare al mondo. Noi ci lasciamo trasportare dalla corrente della lettura, ci immedesimiamo, stregati da uno dei più bravi scrittori italiani under 40, già tradotto in diverse lingue. Non so che lettori siete, quanto amate la nostra lingua, quanto siete esigenti davanti ad un testo che vi ricercherà tempo. Di Paolo è un fuoriclasse della parola scritta e uno così merita tutta la nostra attenzione. Poi, fatemi sapere che ne pensate.
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