Letteratura
Una storia di guerra e di non guerra
La Grande Guerra ha cambiato la storia del mondo, essa ha infatti fra l’altro, segnato la fine della plurisecolare centralità europea e l’affermarsi, dopo l’abbandono della dottrina Monroe che sanciva la indisponibilità degli stati Uniti d’America ad intromettersi nelle dispute fra gli stati europei, della grande potenza d’oltre atlantico.
Fra il 1914 e il 1918 repubbliche, regni e imperi del vecchio continente si scontravano spezzando, come affermò profeticamente Freud “tutti i legami di comunità che ancora potevano sussistere fra i popoli in lotta” e lasciando dietro un tale rancore da rendere impossibile una loro ricostruzione.
Ma quella guerra, tragico epilogo di contrasti che avrebbero con un po’ di più saggezza, essere composti, ha avuto, come scrive Giovanni Tessitore riferendosi alle numerosissime fucilazioni di presunti disertori, anche la capacità di “assuefarci alla violenza legalizzata e di Stato”.
La Grande Guerra, possiamo, dunque, dire che sia stata – e non è enfasi retorica – l’eclissi dell’umanità e l’alba della bestialità.
Anche per l’Italia, entrata in guerra un anno dopo, quel conflitto, pagato con il sangue di centinaia di migliaia di morti sui campi di battaglia, ebbe effetti devastanti. Nessuno potrebbe infatti negare che Il fascismo, con le sue aberrazioni, affondi le sue radici proprio nel disagio e nelle insoddisfazioni generati dalla guerra.
A cent’anni da quegli eventi e placata la retorica patriottarda di cui sono stati rivestiti, qualche riflessione sarebbe stata opportuna eppure, anche da parte di storici e letterati , è prevalsa una sorta di volontà di rimozione, tanto che sul tema ben pochi libri sono stati editati.
Fra questi, è da segnalare non solo per la qualità della scrittura ma, anche, per l’attenzione alle fonti storiche, “La guerra è della morte” il romanzo di Nuccio Pepe, edito da Navarra che, partendo da una storia particolare, quella di una compagnia di soldati siciliani strappati ad una terra carica di contraddizioni sociali, impegnati sul fronte, riesce a rendere il clima drammatico in cui si svolsero le operazioni militari ma, anche, a rappresentare i sentimenti, le passioni e le paure di questa gente mandata a combattere contro un nemico sconosciuto in condizioni che, dal punto di vista umano, potremmo certamente definire degradanti.
Il libro, in meno di cento pagine ricorda da vicino i capolavori di Ernst Junger o di Erich Maria Remarque, ma con un taglio originale, tutto italiano, che da un particolare sapore all’opera. Appassionato e, in qualche passaggio, perfino feroce, Pepe attraverso le sue pagine finisce per fare una profonda e amara riflessione sulla guerra che ben si sintetizza in un passaggio significativo del suo libro. Egli, infatti, scrive che “La guerra non è di qualcuno. La guerra non appartiene a noi uomini. La guerra ha una sola appartenenza. La guerra è della morte”, appunto il titolo del romanzo.
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