Letteratura

Una sapiente rilettura dei Four Quartets

23 Gennaio 2023

Un lavoro eccezionale, quello che la giovane anglista Audrey Taschini, docente all’Università di Bergamo, ha compiuto curando e traducendo i Quattro Quartetti di Thomas Stearns Eliot. Il volume è diviso in tre parti, l’ultima delle quali riporta l’originale in inglese e la traduzione della curatrice, elegante e puntuale: forse la migliore tra le diverse che ho letto, perché non indugia in ostentazioni ed estrosità personali. Per rendersene conto, basta controllare la resa fedelissima, priva di pedanterie o enfasi, dei famosi primi versi di Burnt Norton: “Il tempo presente e il tempo passato / Sono entrambi forse presenti nel tempo futuro, / E il tempo futuro contenuto nel tempo passato. / Se tutto il tempo è eternamente presente / Tutto il tempo è irredimibile”. Rispettose persino della disposizione grafica del testo, ci appaiono altre strofe successive: “Ma a che scopo // Disturbando la polvere su una ciotola di foglie di rosa / Io non so. // Altri echi / Abitano il giardino. Li seguiremo?” Rimane intatto il ritmo, il suono fermo e insieme gentile del modello.

Se qualcuno vorrà leggere questo importante omaggio al Premio Nobel anglo-americano, consiglierei di affrontare il libro proprio dalla fine, lasciandosi trasportare dall’equilibrio armonico della versione italiana. Nella Premessa, la curatrice specifica le linee guida del suo lavoro: “La traduzione ambisce a fornire nel testo italiano elementi sufficienti a rappresentare gli echi dell’intertestualità eliotiana e la ricchezza delle valenze semantiche e della suggestività dell’originale”.

Stimolante e nuovo è tutto l’impianto interpretativo della ricerca di Audrey Taschini. Nella prima sezione si prendono in considerazione le molteplici fonti culturali che hanno ispirato l’opera, a partire dalla Bhagavad Gita, attraverso le fondamentali intuizioni scientifiche e filosofiche del Novecento, con riferimenti all’arazzo compositivo della Commedia dantesca, agli assunti teologici nella poesia di John Donne e agli spunti morali del predicatore anglicano Lancelot Andrews. In particolare vengono messi in luce gli interessi che il poeta approfondì durante gli studi ad Harvard: il sanscrito e i Veda, i presocratici con la predilezione per Eraclito, l’attrazione per il pensiero magico in opposizione al razionalismo, la tesi di laurea su Bradley, l’interesse per la nuova fisica soprattutto nella definizione del concetto di tempo, lo studio del simbolismo e dello strutturalismo, l’adesione all’imagismo. La partecipazione a questo movimento letterario portò Eliot a condividere – con Pound, Joyce, Doolittle, Lawrence e altri scrittori –, l’ideale di un linguaggio iconico, secondo cui immagine e parola agiscono sinergicamente evocando direttamente le emozioni, aldilà di ogni concetto o locuzione astratta. Fu proprio Eliot che diede inizio a un nuovo modo di concepire e produrre poesia, pubblicando nel 1920 il saggio The sacred wood, in cui coniava il termine di “correlativo oggettivo”, riferendosi al procedimento poetico che da un fattore esterno (un oggetto, una serie di eventi, una situazione) lascia germinare immediatamente una sensazione e un’esperienza emotiva.

Se lo studio delle fonti rimane senz’altro illuminante e necessario, è tuttavia proprio nel secondo capitolo, dedicato al commento particolareggiato di ogni Quartetto, che maggiormente si dispiega l’intuito critico di Audrey Taschini, con l’attenzione specifica rivolta alla rielaborazione delle teorie imagiste. Lo scetticismo eliotiano nei confronti del materialismo moderno lo induceva a riscoprire nel complesso linguaggio delle immagini e dei simboli il ruolo cognitivo e spirituale loro attribuito nell’antichità, quando rivestivano la funzione di dialogo e mediazione con l’Essere, mai raggiungibile in maniera puramente logica e razionale. La novità dei Four Quartets, tutta interna alla sfera religiosa, si evince quindi non tanto dai contenuti quanto dall’utilizzo di un linguaggio denso, allusivo e penetrante, capace di ricongiungere il trascendente con la realtà quotidiana, riunendo a un livello simbolico il corpo del mondo al suo spirito universale, nell’unità del tutto, là dove intellect and sensibility are in harmony. Per Eliot la poesia doveva esprimere una perfetta commistione tra senso, emozione e pensiero, trasformandosi in un’esperienza completa del vissuto, e aprendolo contemporaneamente a una verità sovrastante la pura percezione materiale e intellettuale.

Per ogni quartetto Eliot scelse il nome di un luogo dal particolare valore sentimentale o spirituale, con la funzione di correlativo oggettivo, fondamento concreto alle meditazioni filosofiche e teologiche trattate in ciascuno dei poemi: Burnt Norton, East Coker, The Dry Salvages, Litlle Gidding. Il numero quattro nella filosofia pitagorica era il simbolo del cosmo e dell’armonia delle sfere, richiamata anche dalla metafora musicale alla base dei Quartetti. Ma soprattutto il quattro rimanda agli elementi empedoclei – aria acqua terra fuoco –, principi costitutivi dell’universo, trasmutanti uno nell’altro in una trasformazione ciclica, in cui la natura rispecchia l’immobile movimento dell’Eterno (“Still and still moving”), come nel susseguirsi delle stagioni. La resa poetica dei legami tra l’individualità concreta e l’universalità astratta, il contingente e l’Assoluto, il temporale e l’infinito, il visibile e l’invisibile mira a riprodurre la fusione degli opposti in un principio divino unificante. Tale compenetrazione tra umano e sovrumano può essere rappresentato solo attraverso la riflessione sul tempo, inteso come un fluire indiviso di passato, presente e futuro: “Ciò che chiamiamo l’inizio è spesso la fine. / E fare una fine è fare un inizio, / La fine è dove cominciamo”.

Congedando questa sapiente rilettura dei Four Quartets, mi sembra opportuno riportare alcuni tra i tanti versi ricchi di emozione e significato, che nel periodo oscuro in cui furono scritti, e in quello altrettanto minaccioso che stiamo vivendo, offrono uno spiraglio al chiarore di una nuova alba: “Dissi alla mia anima, stai ferma, e attendi senza speranza / Poiché la speranza sarebbe speranza per la cosa sbagliata; attendi senza amore, / Poiché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; ancora c’è la fede, / Ma la fede e l’amore e la speranza sono tutte nell’attesa. / Attendi senza pensiero, poiché non sei pronto per il pensiero: / Così il buio sarà la luce, e la quiete la danza”.

 

T.S. ELIOT, QUATTRO QUARTETTI – BOMPIANI, MILANO 2022

A cura di Audrey Taschini, p. 255

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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