Letteratura

Una giornata da Kayros, la comunità che piace a Cartabia e Marracash

5 Aprile 2024

Abbiamo aspettato mesi prima di riuscire a organizzare questo incontro e stamattina, che ci troviamo a Vimodrone davanti ai cancelli della comunità Kayros pronti a intervistare don Claudio Burgio, sono molte le domande che ci vengono in mente – oltre a quelle che, da mesi, aspettiamo di fare.

Perché? Perché quello di Kayros, a Milano e non solo, è un caso più unico che raro. E perchè di Kayros, volendo, sono vari i modi in cui si potrebbe parlare.

Ma andiamo con ordine.

Fondata a Lambrate nel 2000 su iniziativa di don Claudio Burgio e dal 2007 a fianco del carcere minorile Beccaria, Kayros è una comunità di prima accoglienza, rieducazione e riabilitazione per minori italiani e stranieri che provengono da situazioni di difficoltà – precedenti penali a carico, misure cautelari in corso, situazioni di disagio economico, sociale e familiare.

E in questo ambito si è affermata, nel tempo, come modello virtuoso:  premiata dall’ex Ministro della Giustizia Marta Cartabia come esempio di legalità, solidarietà e civismo, infatti, la comunità Kayros è stata più volte riconosciuta come punto di riferimento nella rieducazione e nella gestione del disagio minorile – e al “caso Kayros” si è più volte guardato quando, posta davanti questioni legate ai temi di giustizia e criminalità giovanile – si ricordino, ad esempio, le parole di don Burgio su Repubblica all’indomani dell’adozione del decreto Caivano – la società si è trovata a interrogarsi su quale fosse la strada giusta da percorrere per fare in modo di immaginare, quantomeno, modelli credibili e concreti attraverso i quali possibilmente affrontare il problema.

Ma non è tutto. Oltre a comunità modello di integrazione e legalità, infatti, la comunità Kayros è diventata, negli anni, qualcosa di diverso rispetto all’idea tradizionale di “comunità” possibilmente derivante dall’immaginario collettivo, trasformandosi da semplice struttura di rieducazione e riabilitazione giovanile pensata nei termini più “convenzionali” a modello educativo inedito dalla portata realmente attrattiva e innovativa, nonché – e don Claudio mi perdonerà per questo inciso – in un fenomeno culturale popolare tra i giovani come qualcosa di, oltre che “buono e giusto”, incredibilmente di tendenza e “cool”.

Perché Kayros è diventata, da semplice comunità, anche un laboratorio culturale importante dove oltre che di integrazione si parla anche di musica, di arte e di successo – ed è da Kayros che sono emerse, negli ultimi anni, figure piuttosto centrali nel panorama musicale odierno – nonché, in particolare, della nuova scena del rap italiano.

A evidenza di ciò, tra l’altro, le ultime rime scritte per Redbull dal rapper Marracash (“Bella don Claudio, al Barrio’s, ai ragazzi di Kayros […]Nei quartieri sempre siamo più soli, gialli e neri senza Ius Soli”), o le recenti parole di Paola Zukar, manager di successo di rapper di fama quali Clementino, Marracash, Fabri Fibra e Madame, che pochi giorni fa incontrava don Claudio Burgio per discutere, in un talk, del ruolo della musica nell’educazione. Del resto, non è un caso che sia proprio da Kayros, che pochi anni fa, sia passato l’artista 22enne e italo-marocchino noto al pubblico come “Baby Gang” – di recente nominato dalle classifiche  come il rapper italiano più ascoltato in Italia e all’estero (con il suo “Innocente”, il giovane ha ottenuto più di 1,5 miliardi di stream), mentre è da Kayros che, in questi mesi, si sono formati anche altri volti della nuova scena rap italiana – tra gli altri Sacky, Rondodasosa e Simba La Rue conosciutissimi tra i più giovani – raccontati proprio pochi giorni fa da Cristina Giudici sul Foglio.

Ebbene, ci siamo chiesti: come si è arrivati a tutto ciò? Come si è riusciti a rendere una comunità rieducativa per minori di carattere religioso una fucina del rap italiano? Chi ha reso possibile questo progetto? E soprattutto: cos’è Kayros, oggi?

Ecco: di tutto questo, e di altro, oggi vorremmo parlare.

Sono le 11, siamo seduti su un comodo divano nella sala d’ingresso di Kayros e stiamo aspettando don Claudio – che in pochi minuti arriva, ci saluta, ci sorride e siamo pronti a cominciare.

In questi mesi, di Kayros, abbiamo sentito parlare tanto: ci racconta come è nata la vostra comunità? 

Come sapete, il progetto Kayros nasce circa vent’anni fa, come luogo di accoglienza e supporto di ragazzi che vengono da condizioni difficili – carcere minorile, disagio o irregolarità. Kayros nasce per questi ragazzi, ed è a loro che vuole offrire un percorso di formazione e riabilitazione che li porti, nei tempi necessari, all’avviamento professionale. Crediamo che, per aiutare concretamente qualcuno, bisogni accoglierlo, supportarlo, e dargli gli strumenti concreti per potercela fare da solo. Questo Kayros si propone di fare. E ci teniamo a farlo nel modo più credibile possibile, offrendo ai ragazzi delle opportunità reali.

E a proposito di credibilità, mi sembra che Kayros raggiunga bene il suo scopo: sono molti i riconoscimenti avete ottenuto negli anni, e si sente tanto parlare di voi come di un modello di successo in termini di integrazione e legalità.

Lo so, ne siamo davvero contenti . Anche se qui i premi, i  numeri e le statistiche sono importanti fino a un certo punto. Qui ci occupiamo di persone, storie, progetti. Kayros su questo si fonda: sul primato della persona.

Cioè?

L’idea da cui siamo partiti – e credo che questo non valga solo per Kayros, ma per ogni comunità di riabilitazione minorile e non che vuol fare bene il suo lavoro – è questa: se vuoi provare ad offrire a un giovane una vita in un contesto di legalità, quello che devi fare è dargli la possibilità concreta di farcela da solo. E cioè: devi insegnargli ad andare avanti da solo, facendo qualcosa che lo realizzi – e quindi, anche, un lavoro che gli piaccia. Tutto il resto è un metodo, un modello educativo. Un modello che noi, qui, amiamo chiamare di “protagonismo sano”. 

“Protagonismo sano”, in che senso? 

Partiamo da questo presupposto: sapete che quando i ragazzi vengono affidati a una comunità devono stabilire un piano educativo, no? Ecco: da Kayros, ogni ragazzo ha voce in capitolo nel definire il suo. E questo perché vogliamo motivarli il più possibile, aiutandoli davvero ad affermarsi concretamente realizzando – perché no? – i propri sogni. Così, abbiamo cercato di rendere Kayros qualcosa di più rispetto a una semplice comunità dove i giovani arrivano, si fermano un periodo, e a un certo punto se ne vanno. 

Affermarsi nella legalità realizzando i propri sogni, quindi. E allora, quali sono i sogni dei ragazzi di Kayros? 

Sono quelli di tutti i ragazzi. Vi ricordate qualche anno fa, quando ogni ragazzino a cui chiedevi cosa volesse fare da grande ti rispondeva “il calciatore” – e la società abbondava di proposte educative incentrate sullo sport? Ecco, oggi è ancora più o meno così, solo che i ragazzi non vogliono più fare i calciatori ma vogliono fare i rapper. E allora ecco che noi, a diventare rapper, vogliamo aiutarli. Come? Con i mezzi concreti necessari a acquisire la preparazione e le competenze che, oggi, il settore musicale richiede. 

E da Kayros, di rapper ne sono usciti parecchi. Come si è arrivati a tutto ciò? O meglio: cosa trova da Kayros un ragazzino difficile, che in cuor suo sogna di fare il rapper?

Innanzitutto, vogliamo dare ai ragazzi gli strumenti giusti. Nel tempo siamo riusciti a istituire presso di noi alcuni studi musicali, sale di registrazione, laboratori di grafica e videomaking. Abbiamo assunto degli educatori che aiutino i ragazzi nella stesura dei testi, un vocal coach e un addetto alla produzione di beat. Queste cose, le mettiamo a disposizione: il nostro obiettivo è dare ai nostri giovani una formazione e una preparazione adeguata, che permetta davvero di affermarsi nel settore. A prescindere dal fatto che vengano da una comunità. E’ in questo modo che crediamo si possano creare reali occasioni di riscatto personale, e percorsi di riabilitazione concreti e credibili. A prescindere dalla strada che ciascuno prenderà.

Ecco, proprio questo volevo chiedere: ma come è possibile che i ragazzi di Kayros diventino tutti rapper? Mi spiego: per diventare un rapper bisogna avere talento. Non è rischioso affidare la possibilità di riscatto di un ragazzo alla possibilità di “fare successo?

Attenzione, però: formare professionisti del settore della musica non vuol dire, in nessun modo, selezionare talenti. E’ vero, qualche rapper famoso è passato di qui. Ma si tratta di casi isolati – riportati dalla stampa perché interessanti, è comprensibile. Tutti gli altri che si sono formati da noi, hanno cominciato a lavorare nel mondo musicale in mille altre forme. Ho citato prima la produzione musicale, il videomaking. La grafica, la tecnica del suono. Gli aspetti gestionali e manageriali di case discografiche e artisti. La musica è un’industria, fatta di persone che svolgono mansioni diverse. E’ così che molti dei ragazzi di Kayros, nel tempo, hanno cominciato a fare la loro strada. E noi di questa maggioranza, soprattutto, siamo davvero fieri. Poi: non è detto che quello musicale sia l’unico settore in cui lavorare a Milano. Sostanzialmente noi facciamo questo: avete presente le classiche “comunità di recupero”, incentrate sul modello dell’agricoltura? Ecco, noi siamo gente di città: quindi, al modello agricolo, abbiamo sostituito occupazioni tipicamente cittadine. Servizi, artigianato, comunicazioni. E tra queste occupazioni, ci concentriamo su quelle che, ai nostri ragazzi, piacciono di più.

E cosa piace ai ragazzi, a parte la musica? 

Un esempio tra tutti? La ristorazione. Talent cooking show, cucina multietnica, nuove mode e affermazione dello streetfood: queste cose appassionano molto i ragazzi, e sono sempre di più a sognare di diventare, un giorno, dei grandi chef – oppure, più concretamente, di lavorare nel settore. Così, da qualche mese siamo riusciti a istituire da noi una piccola cucina professionale (il progetto si chiama CookingBro), che permette ai ragazzi di prendere lezioni di cucina da chef professionisti – imparando così un nuovo mestiere. Vedete, le possibilità sono tante. Basta impegnarsi per ottenere i mezzi, e avere tempo, voglia e fantasia. E saper ascoltare – perché le soluzioni arrivano dai ragazzi stessi, noi non ci inventiamo niente.

Capisco – ora ci è più chiaro. Passiamo al lato pratico: quindi, in concreto, qual è il percorso che i giovani intraprendono una volta che arrivano da Kayros?

Innanzitutto, non c’è uno schema fisso. I ragazzi che arrivano qui sono tutti diversi: c’è chi è mandato dal Tribunale dei Minori, chi dai Servizi Sociali, chi dalle Forze dell’Ordine e chi dalla propria famiglia. Ci sono italiani, stranieri, minorenni e maggiorenni. Da noi, come in tutte le comunità, ogni ragazzo ha il suo percorso stabilito – che il più delle volte è deciso dal Tribunale. In questo schema, noi ci muoviamo provando a costruire per ognuno un percorso adeguato. Si comincia con una “fase di accoglienza”. Poi c’è il percorso educativo, che dipende da caso a caso. Poi, l’avviamento professionale. E’ impossibile fare un discorso generale, i ragazzi sono tutti diversi. 

Chiaro. E, in questa varietà, quelle di Kayros sono tutte storie di successo?

Ma certo che no, non sarebbe possibile. Qualche ragazzo abbandona, qualcuno scappa. Qualcuno finisce al Beccaria. Evidentemente, non è ancora arrivato il suo “kayros” (qui, don Claudio gioca sul significato del termine, che viene dal greco, e indica “il tempo opportuno”, ma anche “l’opportunità”. E’ intorno a questo concetto che è stata costruita la comunità, oltre che alla voglia di adattare i classici, e il messaggio cristiano, ai tempi di oggi. “Non è questo che insegna, il cristianesimo?” ci chiede don Claudio e noi pensiamo che deve avere qualcosa di speciale, questa persona, per riuscire a far passare a giovani aspiranti trapper e dal passato difficile un messaggio del genere). Spesso accade che qualcuno, che scappa la prima volta, poi torni qui – e spesso è alla seconda volta, o alla terza, che il giovane trova davvero la sua strada.

Perché prima o poi, sorride don Burgio, nella vita, per tutti il “kayros” arriva. E quando arriverà, per questi ragazzi, lui sarà pronto ad accoglierli e ad aiutarli a realizzare il proprio sogno. Sogno che no, non sempre ha a che fare con la musica rap – ma può spaziare da tutte le forme e le dimensioni del settore musicale, così come può riguardare molto altro. Perché Kayros, ce lo ha spiegato don Burgio, è qualcosa di più di una fucina di talenti, così come è qualcosa di più di una semplice comunità che ospita ed accoglie: Kayros è un avamposto di vita, un lavoratorio personale e professionale – “La definisco così Kayros, Kayros è un progetto umano”.

Un’ultima domanda: abbiamo parlato di chi arriva da Kayros. E invece, da Kayros, chi esce?

La risposta è facile: escono gli stessi ragazzi che sono entrati!” – e qui Claudio Burgio sorride – “E che non sono cambiati, no, non sono ‘persone nuove’.Sono, semplicemente, cresciuti. Cresciuti nei loro modi e nei loro tempi, si, e fanno cose diverse. I ragazzi di Kayros lavorano, soprattutto a Milano e dintorni. Fanno lavori normali. Molti hanno continuato il percorso che hanno cominciato qui. Artigiani, impiegati, commercianti…molti sono padri di famiglia. A volte passano a trovarmi, mi presentano mogli, fidanzate e bambini. E io, ogni volta, sono felice. Felice, si, e fiero di loro. Perché ce l’hanno fatta!

L’intervista è finita, salutiamo don Claudio. Avviandoci verso l’uscita notiamo che, sul retro della grossa insegna “KAYROS” situata sopra il cancello d’ingresso, c’è una scritta bellissima che recita: “Non esistono ragazzi cattivi”. E’ un bel messaggio con cui lasciarci.

 

 

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