Letteratura
Una don Giovanni in gonnella. Il romanzo di Daniela Ranieri
Daniela Ranieri – Stradario aggiornato di tutti i miei baci – Ponte alle Grazie 2021
Nulla sapevo di Daniela Ranieri. Un mio amico adorato, dalla lontana Calabria me ne parla per telefono. Lui è un lettore forte di romanzi che non sono mai riuscito a portare nel saggismo, nonché lettore assiduo del “Fatto quotidiano” dove Ranieri scrive – quotidiano che non ho mai avuto tra le mani, ma che leggiucchio in rete quando mi capita, specie i referti lucidi di Massimo Cavallini su Cuba e una volta quando vi scriveva Malcom Pagani. L’amico insisteva, al telefono, voleva leggermi una decina di pagine dell’ultimo libro della Ranieri per confrontarsi, per capire se aveva lui le traveggole o se lei sapeva davvero scrivere come sospettava estasiato. Gli ho detto che proprio no, dieci pagine al telefono non le reggevo. Piuttosto avrei letto il “romanzo”. E così ho fatto. Sorpresona: una bestia da stile. Ma andiamo con ordine.
Per qualche giorno mi sono perciò ritrovato in compagnia di Daniela Ranieri e del suo Stradario aggiornato di tutti i miei baci. Storia esile sotto il profilo dell’intreccio (catalogo dei maschi che sono capitati a tiro alla protagonista-io-narrante) ma scrittura densa, elaborata, con risonanze arbasiniane e gaddiane, ossia da un lato con affondi brillanti di Kulturkritik (vedi il capitolo “lo scrittore”) e dall’altro con “tirate” umorali e bisbetiche tipiche dell’Ingegnere nel regno dell’osservazione millimetrica delle modalità del visibile e nel segno di una donna ipercolta e iperlettrice che mi sembra tendere alla “scrittura” più che alla narrazione, al colore più che al disegno (di una trama per esempio), al discorso più che alla “storia”.
Divagazioni che nelle prime fasi del libro mi sono sembrate a volte cadere in piedi e a volte restare appese in aria come i concetti-caciocavallo (avrebbe detto don Benedetto Croce). A dimostrazione occorrerebbe che facessi, testo alla mano, dei carotaggi e indicare i punti esatti dove il volteggio e i trapezismi (e anche il voltaggio, nel senso di forza espressiva) della frase approdano e “toccano terra” in un senso dato e altre in cui sono pura goduria lalica, scrittura brada, pensieri spettinati. Mi attrae e mi respinge questo gioco. Mi sembra a tratti, con Mallarmé, che per lei “le monde existe pour aboutir à un livre“, che cioè la sullodata Ranieri abbia esperito la sua vita amorosa (posto che questa sia la sua autobiografia ma nella letteratura d’eccezione non è mai così) con un bloc notes in mano, a viverla in attesa di scriverla. Ma è un’illazione che non riesce ad essere malevola perché in verità questo è il mestiere di ogni scrittore vero. Diceva Brancati da qualche parte che la gente normale vive, lo scrittore invece prende appunti. Per cui non è una colpa questa che posso imputarle, atteso che lei sappia scrivere. Decido di andare avanti per verificare ulteriormente.
Osservo che quando la pagina si gonfia con ridondanze e amplificazioni, diventa decisivo lo stato d’animo del lettore, ossia la sua capacità di resistenza alla pagina troppo spessa e coi riboboli, o il grado della sua indulgenza/ sopportazione a farsi menare per il naso, soprattutto per i periodi lunghi, senza a capo, e con continue parentesi che si aprono in successione come le vecchie porte di Carosello…
L’excursus, la divagazione randagia, è in genere un pezzo di bravura a sé stante (cfr fra gli altri i capitoli “Odorama” e “Il miele dell’esistenza” sui profumi). Ora, puntellare tutta una prosa ricca e umorale sottraendola all’affabulazione, alla “storia” (e ai suoi oneri e divieti, ma anche alla sua esemplarità) per alimentare epicicli ed epicicli di divagazioni random, spesso nidificate, ficcate una dentro l’altra, alla fine può produrre l’effetto saturazione o stordimento. O catturare alla distanza se di fine conio. Tutto sta nel patto narrativo tacito che il lettore ha stabilito con l’autore, tra la propria soglia di resistenza ma anche la forza dell’autore di travolgerla. Ho davanti più di 500 pagine (kindle, 694 a stampa) dopotutto. Ora, con Francesco Pecoraro (La vita in tempo di pace, stesso editore, stesso monsone di pagine) ho “preso” con molta soddisfazione; con Ranieri devo vedere. Proseguo. Colgo un “discorso al caminetto” del tutto spurio, sotto forma di tirata gigantesca sull’adulterazione dei cibi e al conseguente avvelenamento a cui ci sottoponiamo (ma anche in questo contesto mi colpisce un brano piuttosto attorcigliato in cui mi sembra di cogliere una svista: il pescespada parrebbe dato, in un contesto di cibi adulterati, in allevamento con gli antibiotici come fosse un salmone, il che non è perché così fosse a Messina e Scilla farebbero festa – ma in questioni marine ci piglia poco: i polpi, cefalopodi, diventano “polipi”, celenterati, sulla pagina e ad un certo punto scrive di “telline di scoglio”, ma le telline stanno sotto la sabbia e quelle attaccate sono le patelle), poi subito dopo scatta in automatico (quasi flusso di coscienza piuttosto sconnesso) un link con i device degli Iphone e dell’elettronica avanzata che paiono assediarci, secondo lei, con “cupio dissolvi” incorporato, per via di altri nostri servaggi di uomini sottoposti alle nequizie del neocapitalismo. Il segmento si conclude con una invettiva contro i medici. E non si capisce, tutto ciò premesso, osservo io, per quale arcano si sia allungata intorno agli ottanta l’aspettativa di vita di tutti questi umani avvelenati dai cibi e intontiti dell’informatica distribuita e maltrattati dai medici.
Poi si passa da paginate minuziosissime sulla sensibilità dei gatti al mancato colloquio tra stampanti e PC. Che fare? Decido di andare avanti. Ci sono a tratti delle bellurie, degli slarghi, dei segmenti ben scritti. Mi trovo a reclamare un editor più canaglia che avesse lavorato ferocemente di forbici sulla prima parte.
Insomma le prime decine di pagine sembrano girare attorno allo spappolamento dell’io redigente e nulla più. Ma ecco che dopo un po’ la pagina si apre, prende luce. Sono i capitoli in cui incomincia a ritrarre gli uomini (ho finito quello del dottore adesso, bellissimo) la penna scorre più fluida e più incisiva. Sono ritratti che si organizzano come piccoli racconti dentro la sinfonia-romanzo principale che è la storia con A. un filosofo etneo, e che danno il destro a Ranieri di frugare dentro esistenze e ambiti di realtà con occhio vivisezionatore spietato. È il momento di grazia stilistica in cui lo sguardo dell’io narrante dall’interno si rivolge all’esterno, e realizzo perciò solo a questo punto, che tutte le prime 70 pagine tese a scrutare l’io redigente (le sue fisime, l’incapacità di reggere le cose, la sua disfunzionalità con gli oggetti, l’amore per gli animali, la sua vita solitaria ecc ) fungano da “introibo ad altare dei”, ossia alla “messa cantata” del “romanzo” (chiamiamo così per pigrizia ogni inclinazione narrativa): gli uomini, i maschi, l’eros. Qui giunto l’aereo narrativo romba, decolla ed è molto potente anche se l’elemento gnomico, quello riflessivo, resta forte ma non più astratto, ma legato a persone, ambienti, situazioni narrative. Ecco un carotaggio.
Ciò che molte o forse alcune donne hanno avuto da un solo uomo – allegria, attenzione, protezione, fervore, cura – io l’ho avuto da tanti (non tanti: diversi); sarebbe meglio dire: l’ho cercato in molti. (Se vuoi la monotonia, cambia molti uomini. Se vuoi la diversità scegline uno solo). Non esiste in letteratura la figura del Don Giovanni femmina. Dell’uomo predatore seriale ammiriamo l’incessante destrezza. La donna che passa da un uomo all’altro, sperando che ciascuno sia in fondo colui che le resiste confermandole che l’amore esiste, è una figura patetica, non malinconica tragica delicata sardonica disperata come Don Giovanni. Ella è invariabilmente: puttana. […] Non sapendo bene cosa amassi e cosa cercassi in un uomo in generale, ne ho amati diversi per vedere cosa ci fosse di amabile in un essere umano. La moltiplicazione del particolare mi ha dato una specie di conoscenza generale, antropologica.
Quale splendore. Superate perciò le prime 70 pagine ombelicali e con quelle riflessioni nidificate di cui dicevo, slegate dalla “portata” fluviale della narrazione, il libro abborda il mozartiano “madamina il catalogo è questo” in versione femminile (e “Madama Giovanni” Ranieri battezza il suo personaggio femminile giustamente), e abbandonato provvisoriamente il registro saggistico “racconta” finalmente i tipi maschili, le situazioni erotico-seduttive con grande splendore di prosa e capacità di penetrazione nelle psicologie e nei milieu sociali in cui agiscono i suoi eroi. Una preziosa prosa davvero, colta, raffinata, penetrante, e mi sembra, splendidamente “scritta”. Una scrittura ancora molto nidificata, certo, ma attorno a nuclei narrativi adesso, e con uno sguardo ipermetro e una penna che è un bisturi. E infine una finestra aperta sulla versione/visione femminile della seduzione, dell’amore, dell’eros con pagine molto belle e godibili, a tratti superlative. Sì, è un libro che si legge cercando la scrittura in sé e non la “storia”. E a quel punto si può leggere aprendolo a caso. Ma da leggere assolutamente tutto e fino alla fine. Sì.
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Finalisti PREMIO STREGA 2022
A fianco di ogni libro troverete il link alla sua recinzione (recingere con un testo un altro testo) su questa pagina man mano che pubblicherò le recinzioni dei 12 finalisti.
I finalisti sono:
1. Marco Amerighi con “Randagi” (ed. Bollati Boringhieri), presentato da Silvia Ballestra. urly.it/3nv-j
2. Fabio Bacà con “Nova” (ed. Adelphi), presentato da Diego De Silva. urly.it/3nypf
3. Alessandro Bertante con “Mordi e fuggi” (ed. Baldini+Castoldi), presentato da Luca Doninelli. urly.it/3nvnf
4. Alessandra Carati con “E poi saremo salvi” (ed. Mondadori), presentato da Andrea Vitali.
5. Mario Desiati con “Spatriati” (ed. Einaudi), presentato da Alessandro Piperno.
6. Veronica Galletta con “Nina sull’argine” (ed. minimum fax), presentato da Gianluca Lioni.
7. Jana Karšaiová con “Divorzio di velluto” (ed. Feltrinelli), presentato da Gad Lerner. urly.it/3nx4h
8. Marino Magliani con “Il cannocchiale del tenente Dumont” (ed. L’Orma), presentato da Giuseppe Conte. urly.it/3n-nv
9. Davide Orecchio con “Storia aperta” (ed. Bompiani), presentato da Martina Testa. urly.it/3p34g
10. Claudio Piersanti con “Quel maledetto Vronskij” (ed. Rizzoli), presentato da Renata Colorni. urly.it/3nzhn
11.Veronica Raimo con “Niente di vero” (ed. Einaudi), presentato da Domenico Procacci. urly.it/3nsnm
12. Daniela Ranieri con “Stradario aggiornato di tutti i miei baci” (ed. Ponte alle Grazie), presentato da Loredana Lipperini. urly.it/3nrz8
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