Letteratura

Una domestica fedele

13 Dicembre 2021

Presentando nella famosa collana einaudiana de I gettoni la seconda prova narrativa di Lalla Romano (1906-2001), Elio Vittorini nel 1953 scriveva: “Una storia di rapporti umani che si realizzano, pagina su pagina, come rapporti ritmici, e che tuttavia tendono a mostrare, malgrado il loro ripetersi, quanto di unico e insostituibile, di dato una volta per tutte, vi sia in ogni individuo”.

L’individuo in questione è Maria, protagonista del racconto, una donna mite, di origini contadine, che lavora come domestica presso una raffinata famiglia borghese, nell’arco dei vent’anni che precedono la seconda guerra mondiale. La voce narrante è invece quella della giovane signora, sposata con Pietro, che l’ha assunta prima di partire per il viaggio di nozze, e al ritorno la osserva attraverso la porta socchiusa: “Stava seduta sull’orlo della sedia, con i piedi incrociati e le mani raccolte nel grembo; era magra e minuta, vestita di nero: con un colletto, rotondo, di pizzo. Teneva la testa reclinata su una spalla; i suoi occhi azzurri e fermi, dalle palpebre piegate all’ingiù, avevano un’aria rassegnata e un po’ triste”. In quello stare appena appoggiata alla sedia è già delineata la ritrosa timidezza, la composta e intimorita discrezione della governante. Più avanti ne viene descritta anche la dedizione attenta al lavoro: “Essa si aggirava per le stanze senza far rumore, era sempre occupata e non faceva domande”, “Maria conferiva, a tutte le cose che faceva, una certa solennità; senza imporle per niente all’attenzione, anzi sbrigandole con discrezione e silenzio”.

Quando la signora partorisce un bambino, la domestica ne diventa la balia, affettuosa e trepidante: le due donne se ne occupano senza reciproche gelosie, senza ansie di possesso, rinsaldando tra loro una complice ma sempre rispettosa solidarietà. Maria riceve talvolta i parenti in visita dalla campagna, oppure invita l’intera famigliola dei datori di lavoro nelle vecchie case abitate da fratelli, cognati, nipoti: nelle rare e pudiche confidenze che si permette con la padrona racconta con nostalgia del padre severo, della povertà patita, delle figure più suggestive della sua infanzia e dei rapporti nutriti da maggiore tenerezza: con il nipote Fredo, sacerdote salesiano morto di tisi, con lo zio Barba e il fratello Giovanni, con le tante mogli e madri consanguinee usurate dai lavori domestici e nei campi.

Si confrontano così a livello di microcosmo due diverse società: quella urbana e borghese, laica e intellettuale, e quella rurale, culturalmente arretrata ma salda nei principi morali e nei vincoli familiari, austera e ancora priva di rivendicazioni di classe. Maria, scissa tra modelli di vita tanto differenti, rimane fedele a entrambi, con la dedizione che le è propria. Segue i padroni quando si trasferiscono a Torino, nonostante la diffidenza provata per la grande città, soprattutto per non dover abbandonare il bambino che le è stato affidato. Li accompagna obbediente nelle vacanze in Versilia o in montagna, partecipando a tutte le loro vicissitudini quotidiane, godendo e soffrendo di ogni loro gioia e dolore. “Maria non si era mai risparmiata; aveva sempre lavorato, per i suoi, ma anche per gli altri, quando ce n’era stato bisogno; lei voleva bene ai suoi, ma anche ai dolori degli estranei, compativa; e si sa che anche voler bene, stanca”. Infatti, si ammala di cuore: viene sostituita da altre governanti, e poi riassunta perché insostituibile. Fino all’inevitabile e malinconica conclusione del rapporto di reciproca dipendenza.

In uno stile asciutto e sorvegliato, mai retorico, Lalla Romano ha saputo rendere settant’anni fa atmosfere private e ambientazioni sociali, attraverso la descrizione attenta e intenerita di una donna poco consapevole, nella sua gracilità, della propria forza. Incapace di lusinghe e scaltrezze, docilmente rassegnata al suo ruolo di servizio privo di prospettive o speranze di riscatto, a Maria ci sembra debbano spettare le beatitudini promesse dal Vangelo.

 

 

Lalla Romano, Maria – Einaudi, Torino 2021

Prefazione di Benedetta Centovalli, postfazione di Giorgio Zampa. A cura di Antonio Ria.

 

 

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