Letteratura

Un indovino mi disse: «Una società giusta è possibile»

17 Aprile 2020

1993. L’anno in cui Bill Clinton si insedia alla Casa Bianca, il ponte di Mostar viene abbattuto durante la guerra di Bosnia, entra in vigore il Trattato di Maastricht ed Enrico Ruggeri vince Sanremo con Mistero. È anche un anno che porta con sé gli strascichi dei periodi precedenti, con l’inchiesta di Mani Pulite che si abbatte sulla politica italiana e con la stabilità mondiale che prova ad assestarsi dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

Ma il 1993 è soprattutto l’anno in cui Tiziano Terzani, giornalista italiano e corrispondente nel sud-est asiatico per il settimanale tedesco Der Spiegel, decide di proibirsi dal primo gennaio al 31 dicembre di salire su qualsiasi aereo e di continuare la sua attività professionale utilizzando solo mezzi terrestri o navali. Insomma l’apirazione per qualsiasi aerofobo e allo stesso tempo la difficoltà più grande per un reporter d’assalto con la pressante necessità di recarsi in tempo nel luogo in cui si sviluppa la notizia. Masochismo? No, semplice superstizione. Nel lontano 1976 un indovino di Hong Kong aveva fatto una strana predizione al giornalista italiano: «Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare. Non volare mai». Il vaticinio sembrava essere uno dei tanti che si possono ascoltare nei bugigattoli in cui gli indovini asiatici provano a far colpo sugli occidentali, eppure Terzani ci crede, o meglio per curiosità prova a crederci. Il giornalista incomincia quindi un anno ancorato al suolo, raccontando nel libro Un indovino mi disse tutto ciò è successo in quel lasso di tempo lontano dalle nubi, dalle business class e dalle piste di atterraggio.

Cominciando dal Laos, dove Terzani si trova la notte di San Silvestro a cavallo tra il ’92 e il ’93, il percorso si snoda per la prima parte dell’anno attraverso buona parte dei paesi del sud-est asiatico (Birmania, Cambogia, Thailandia, Malesia, Singapore e Indonesia). Il giornalista, attraversando questi paesi via terra, con tutte le particolarità del caso come lo sbigottimento delle guardie di frontiera di fronte a un occidentale che non viaggia in aereo, scopre un mondo totalmente diverso da quello mostrato ai turisti attraverso gli immensi saloni gonfiati ad aria condizionata degli aeroporti e i loro scintillanti duty free. Davanti allo scrittore si pone un mondo in cui il progresso all’occidentale, fondato sulla crescita a tutti i costi, ha sconvolto completamente le popolazioni di quei paesi, aumentando ancora di più il divario sociale, con una piccola cerchia di uomini molto ricchi e una stragrande maggioranza della popolazione sotto la soglia di povertà, e soffocando nel nome del progresso le tradizioni dell’Asia, come i riti religiosi e gli indovini, che lo stesso Terzani (un po’ per scaramanzia, un po’ per curiosità professionale) decide di consultare in ogni paese in cui si reca.
La seconda parte dell’anno, in cui il giornalista decide di tornare per l’estate in Italia in treno, è ancora più didascalica. Attraversando il Vietnam l’orami ex reporter di guerra Terzani non riconosce più il paese nel quale ha lavorato per anni; Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon, gli appare una città totalmente diversa, per nulla familiare (soprattutto per lui che ricorda di essersi commosso alla vista dei soldati del nord che entravano in città), così come le campagne vietnamite in cui contadini affamati cercano di saltare sul suo treno per avere quacosa per nutrisrsi. L’attraversamento della Cina, della Mongolia e infine della Russia, con la leggendaria Transiberiana, è un requiem triste nei confronti di un passato che sta andando in frantumi per far posto alla società del profitto, un mostro che distrugge tutto quello che trova sulla strada in nome degli indici di borsa e delle organizzazioni “con scopo di lucro”. Verrebbe da replicare in modo grottesco: È la globalizzazione, bellezza!
Nel viaggio di ritorno in Asia, imbarcato su una nave cargo, Terzani termina dal punto di vista filosofico il proprio libro con una riflessione: «Seduto a poppa, mi chiedevo quanto ancora potrà durare un mondo così, retto esclusivamente dai criteri incolti, disumani e immorali dell’economia. Scorgendo l’ombra di isole lontane me ne immaginavo una ancora abitata da una tribù di poeti tenuti in serbo per quando, dopo il Medioevo del materialismo, l’umanità dovrà ricominciare a mettere altri valori nella propria esistenza». Il pensiero maturato durante un anno sabbatico dal cielo si fonda quindi sulla speranza che il mondo prenda consapevolezza del baratro verso cui la società si sta dirigendo e allo stesso tempo sull’estrema necessità di una nuova rivoluzione sociale che anteponga i bisogni degli uomini rispetto a quelli del guadagno. In tutto questo Terzani lascia intendere che il 1993 è stato l’anno in cui ha iniziato davvero a capire quali siano i valori importanti che hanno dato il via al suo percorso spirituale e il suo ringraziamento non può che rivolgersi all’indovino di Hong Kong, che lo ha spinto verso questa esperienza. Oltre ovviamente ad avergli salvato la vita: il 20 marzo del 1993, infatti, un elicottero delle Nazioni Unite, su cui viaggiava il collega tedesco che aveva preso il posto dello scrittore, precipitò in Cambogia. Superstizioni asiatiche? In questo caso si sono rivelate doppiamente utili.

E a noi cosa rimane di questo libro? Qualche domanda, probabilmente! Non è forse questo il momento in cui dobbiamo ricordarci la priorità della nostra essenza umana? Non è forse il caso di frenare un attimo la crescita, la produzione e i consumi esagerati per dedicarci alla costruzione di una società realmente equa, dove tutti possano vivere con il necessario?
Il libro ovviamente non dà le risposte, così come non le può dare chi ha letto e amato il libro e poi ha scritto questo articolo. Restano solo dei punti interrogativi aperti, ma d’altronde cos’è la letteratura se non un continuo porre domande a cui ognuno deve trovare dentro sé le risposte?

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