Letteratura

Joseph Conrad: UN CLASSICO PER PADRI, MANAGER E LETTORI DI MURAKAMI

18 Gennaio 2015

A cercare gli anniversari li trovi ovunque, come le coincidenze, o i collegamenti logici.
Nel 2014 cadevano i novant’anni della morte di Joseph Conrad, e da mesi fioccano pubblicazioni che rievocano il centenario della Grande Guerra alla quale partecipò anche Borys, figlio dello scrittore polacco.
In occasione della partenza del primogenito, Conrad scrisse La linea d’ombra, recentemente ripubblicato da Feltrinelli nella traduzione poetica e appassionata di Simone Barillari, corredato da una scena inedita, una postfazione, una mappa e un puntuale apparato di note.

Nonostante il titolo integrale The shadow line: a confession indichi con evidenza una chiave di lettura nei solchi autobiografici dell’autore, questo romanzo breve è stato spesso travisato come una sorta di iniziazione religiosa: si sono attribuiti elementi trascendenti alla tempesta che si abbatte sull’immobile Orient o un potere misterico al fantasma del vecchio capitano.
Eppure lo stesso Conrad smentì un approccio metafisico. “Il mondo dei vivi contiene già abbastanza meraviglie e misteri così com’è”, commentò nell’edizione del 1920.
Certo, fra i misteri affrontati va compreso quello della maturità personale, il momento di passaggio nel quale si valica l’avventatezza e si accoglie la responsabilità del destino proprio e altrui. Si tratta di una cesura, attraverso cui l’osservazione del presente e del futuro ingloba per la prima volta la valutazione del passato.
Una sovrainterpretazione del romanzo conradiano comunque non deve sorprendere. La linea d’ombra è uno di quei classici moderni che consentono molteplici livelli di lettura. Ad esempio io lo trovo particolarmente adatto a padri o manager.

Quando Conrad, orfano all’età di 13 anni, provò a narrare il fenomeno dell’emancipazione di un ragazzo che si affaccia all’età adulta, descrisse un giovane marinaio in procinto di compiere un gesto sconsiderato: l’abbandono della nave, una diserzione, suggerisce il testo. Però nel giro di pochi giorni il protagonista si ritrova a dover affrontare la responsabilità del comando su un altro vascello. Da quel momento in poi è tutto un avvicendarsi di mentori rifiutati, rigettati e riconosciuti: il capitano Gilles che gli prospetta la nuova accattivante avventura lavorativa e lo mette in guardia rispetto alle inevitabili difficoltà; il primo ufficiale, il signor Burns, attaccato ad astruse convinzioni, che si comporta come un demente senile; il paziente e stakanovista cambusiere Ransome che con il suo generoso apporto contribuisce in maniera decisiva affinché l’Orient approdi a Singapore. Proprio quest’ultimo si dedica con tutte le sue energie a compiti che non lo riguardano, non soltanto prova a gestire la situazione della cucina e della cura dei malati, ma è l’unico in grado di eseguire fisicamente gli ordini del neo-capitano durante la totale assenza di vento che perdura per settimane e la bufera violentissima che ne consegue.

Alla fine del romanzo Ransome compirà un gesto simmetrico a quello del protagonista narratore nell’incipit: nelle righe finali anche lui lascerà la nave, una volta in porto.
Questa sua decisione non va intesa come una fuga azzardata perché “non c’è un momento di riposo nella vita, per nessuno”. È soltanto una deviazione, un cenno in modo che il giovane vada avanti da solo, nel confronto dialettico con la natura umana, che “non è cosi bella, se guardata in profondità”.
Come un padre, Ransome accompagna, aiuta fino allo stremo, poi lascia il figlio ormai cresciuto a gestire la propria esistenza.
La lettura de La linea d’ombra però si può ribaltare sotto un’altra ottica: il ruolo del giovane capitano è paragonabile a quello di un manager di ultima generazione.
L’azienda ha bisogno della tradizione, della collaborazione collettiva, tende a innalzare il limite degli sforzi individuali, e necessita dell’impegno assoluto in prima persona del manager stesso, incapace di risolvere da solo la bonaccia finanziaria. I crumiri servono nel tempo breve, ma non vengono premiati e sono sostituibili.
La metafora di un giovane condottiero, alla sua prima esperienza, potrebbe essere applicabile persino all’attuale situazione politica italiana.
Il punto è sempre lo stesso: il condottiero deve capire qual è e come superare la propria linea d’ombra, senza lasciarsi inebriare dal ruolo di comando, considerando che crescere, delegare e collaborare sono necessità inevitabili per salvare l’intera nave.

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