Letteratura

Trent’anni senza Primo Levi, l’uomo che ha salvato la memoria dell’umanità

25 Gennaio 2018

«Gli ebrei hanno sei sensi», scrive Jonathan Safran Foer, in Ogni cosa illuminata, «Tatto, gusto, vista, odorato, udito… memoria. Mentre i gentili fanno esperienza del mondo mediante i sensi tradizionali e usano la memoria solo come strumento di second’ordine per interpretare i fatti, per gli ebrei la memoria non è meno primaria della puntura di uno spillo, o del suo argenteo luccichio, o del gusto del sangue che sprigiona dal dito». E il “senso” della memoria, dovrebbe essere il sesto per tutti noi, non solo per gli ebrei.

Tra i testimoni degli orrori di Auschwitz, nessuno ha contribuito quanto Primo Levi a testimoniare il dovere della memoria, e la preziosità dolorosa del suo lavoro appare ancora più luminosa oggi, a trent’anni dalla sua morte, avvenuta a Torino, la città dov’era nato, quasi un secolo fa. Trent’anni durante i quali si è affermato come il testimone Auschwitz per eccellenza. Il racconto della sua esperienza, la deportazione, l’anno di prigionia e il lungo ritorno nella sua città attraverso un’Europa sconvolta dalla guerra è stato drammatico e capace di raccontare a tutto il mondo l’orrore dei lager. Una storia unica, ma “uguale” a quella di tutte delle vittime della Shoah.

E proprio «la Shoah», infatti, – come ha affermato Mattarella in vista della celebrazione del giorno della memoria al Quirinale – «per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale, resta unica nella storia d’Europa, pur considerando che tutte le vittime dell’odio sono uguali e meritano uguale rispetto».

La vita e l’eredità di Primo Levi fatta di memorie, romanzi, poesie, racconti, e di cui il 31 luglio 2019 cadrà il centenario dalla nascita, ancora oggi ci aiuta a tenere vivo il ricordo dello sterminio del popolo ebraico, delle leggi razziali, e ci ricorda come il presente non possa essere vissuto oscurando o dimenticando il passato. In Se questo è un uomo e ne La Tregua ha raccontato l’orrore di Auschwitz, la macchina dello sterminio che si reggeva sulle precisioni dell’industria e sulle complicità e le debolezze di una vasta “zona grigia” di complici. Nel suo vero testamento intellettuale, I sommersi e i salvati, ha spiegato con lucidità insuperata il tormento interiore degli uomini e degli intellettuali che hanno attraversato l’esperienza del lager, il “senso di colpa” del sopravvissuto, l’equilibrio (forse impossibile) del reduce, segnato per sempre nella carne eppure obbligato, per dovere civico e morale, a testimoniare il futuro. La tentazione del laico, infine, di rivolgersi a un Dio in cui non credeva proprio davanti all’abisso.

Il chimico prestato alla letteratura (era così che amava definirsi Levi) viene oggi celebrato da Giulio Einaudi editore, che con il sostegno di Intesa San Paolo pubblica un volume di testi ma soprattutto di centinaia di immagini, dal titolo Album Primo Levi.

Il volume, curato da Roberta Mori e Domenico Scarpa e presentato alcuni giorni fa alle Gallerie d’Italia alla presenza del presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, contiene 400 immagini, la maggior parte messe a disposizione dalla famiglia Levi, suddivise in 5 sezioni tematiche. La prima parte è dedicata alla passione di Levi per la chimica, il suo lavoro. La seconda sezione del libro riguarda invece l’andare in montagna e il Levi che amava sfidare la natura. Poi c’è il capitolo sulla dolorosa esperienza ad Auschwitz. Dopo c’è la parte dedicata al lavoro di scrittore e traduttore e infine quella sulla pratica del «Pensare con le mani», perché Levi aveva anche velleità da scultore, realizzava opere con materiali di scarto, e amava giocare a scacchi. L’Album, come scrive Fabio Levi nella sua prefazione, mette in risalto gli aspetti piú originali dell’opera di Levi, considerato  sìcome un grande scrittore letto oramai in tutto il mondo, ma anche come un uomo di pensiero fra i piú sensibili alla vita concreta del mondo di oggi. Un esempio.

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