Letteratura
“Tre orfani”: personaggi misantropi e grandi scritture
“L’unica cosa certa è che eravamo tre orfani misantropi che sotto un cielo dove adesso gridavano le procellarie stavano finalmente per mangiare un tortino di formaggio, zenzero, acqua e fuoco”.
I tre orfani, spersi in una casa “paradossale”, enorme, tana spoglia e labirinto di echi che rimbombano e si perdono fra le stanze vuote, i tre orfani che senza dire una parola si fanno compagnia sono il protagonista di questo minuscolo libro e due inattesi compagni: Achab e Bartleby.
Giorgio Vasta, con la sua scrittura elegantissima e rara, per la durata di queste venti pagine e di un giorno della sua vita, apre la porta della sua mente e del suo mondo e lascia che si guardi dentro.
È il 12 marzo 2020 ,data del suo cinquantesimo compleanno, l’alba della pandemia, un momento di sospensione solitudine e ovattamento. Primo Levi avrebbe cercato di ricordare a memoria il Canto di Ulisse e di tradurlo in francese. Vasta trova la compagnia dei due personaggi di Melville. Tre energie d’intensità così diversa, complementari e vicine, allineate nel silenzio riservato, accumunati dall’essere “tre reduci non si sa da cosa e da dove: tre reietti: tre relitti”, in uno spazio di tempo che non ha passato né futuro prima che il tempo stesso si rimetta a scorrere. Nello svuotamento è l’enormità di personaggi e scritture giganti che riempie l’enorme casa e l’enorme vuoto fino a farsi famiglia, intorno al tortino di “formaggio, zenzero, acqua e fuoco” il cui boccone è un “boccone di buio”.
Uno, Bartleby, “serenamente fossile”, spargendo briciole di biscotto, elimina con indolenza le mail non lette dal computer, cancella le cose da fare dall’agenda, seleziona i contatti del cellulare “un elenco di nomi e cognomi, centinaia e centinaia, ad alcuni dei quali corrispondeva un viso o un odore, a volte un sapore” per poi svogliatamente cancellarli.
L’altro, Achab, ascolta bollettini covid come fossero bollettini metereologici, passeggia per la casa rintoccando con la gamba di legno, osserva l’orizzonte da una ringhiera e con “voce di catrame” si rivolge assorto al suo passato di navi e balene, trasformando, agli occhi quasi impassibili del narratore, antenne televisive in mostri marini e pannelli solari in cuccioli di capodoglio, e mostrando nella tenebra “un punto specifico: quel frammento di oceano dove si incurvava, nero nel nero, la massa secolare della balena”.
In questo scorcio di mente, fra l’accuratezza e la potenza di immagini e parole, c’è tutto ciò che fa dell’autore uno dei pochissimi Autori.
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