Letteratura
“Trasparenza” tra musica e poesia: intervista doppia a E. Cagnizi e M. Borio
Trasparenza è il titolo dell’opera di Maria Borio, uscita nel 2019 per Interlinea, dove trasparente è sintesi tra puro (tesi) e impuro (antitesi), ovvero parete sottile tramite cui osservare la mescolanza tra umano e non-umano; la trasparenza si fa spazio, nelle poesie di Borio, ma diventa anche uno stato di relazioni «dove i riflessi si incrociano, si accavallano, si allontanano, tornano a unirsi» e, quindi, compresenza di tempi e poli identitari che prendono forma nei giochi di luce delle costruzioni urbane, nella densità erotica dei corpi e nella sottile presenza dello schermo. Lev Manovich, in riferimento alla formulazione “classica” di schermo, lo definisce come «un altro spazio virtuale, racchiuso da una cornice e situato all’interno del nostro spazio “normale”» sebbene questo «spazio della rappresentazione abbia sempre una scala dimensionale diversa da quella che utilizziamo nel nostro spazio normale.»; Trasparenza prova a dare voce a tale mutamento di percezione dello spazio-tempo, innescando un moto centripeto e centrifugo insieme, poiché l’esserci è stare con l’altro in un rapporto bidirezionale di reciproca influenza.
Nel 2020 i testi dell’opera, insieme e grazie all’esperienza musicale di Elio Cagnizi, diventano canzone, all’interno di un progetto strutturato e affascinante, sul quale, in un’intervista doppia, ho voluto fare parlare i suoi due protagonisti.
In Trasparenza (Interlinea 2019) il concetto di “relazione” è una delle chiavi di lettura fondamentali, poiché anche la sintesi tra puro e impuro può essere interpretata come il superamento dell’essere-per-sé a favore dell’essere-con o dell’essere-per e, quindi, trasparenza come pensarsi in relazione.
Come siete riusciti, nel vostro progetto musicale, a rendere questa idea che, nella raccolta, è così importante?
E.C.: Il concetto di relazione lo applico nella comunione fra testo e melodia. Nella mia esperienza giovanile di cantautore mi sono basato – relazionato – solamente con i miei testi, a cui era legata la mia esperienza, ma ho scoperto che era limitante. Per questo ho iniziato a ricercare poeti con cui instaurare uno scambio, provando a stare nello stesso igloo insieme, per percepire le sensazioni dell’altro, prestando attenzione a non invaderle, rispettandole. In questo modo, credo, provo ad inglobare nella mia coscienza quella dell’altro. Con Maria ho trovato una mente libera, aperta, grande, stare in contatto è come incedere per acque cristalline. Ed ecco che questo, poi, lo riscontro nelle melodie che vengono fuori quando provo a musicare i suoi testi.
M.B.: La relazione tiene insieme le parti della scrittura, che è come un fluido. C’è la presenza cinetica dell’acqua in questo libro. Le immagini si allacciano come correnti d’acqua e come quest’ultime sono pensati i movimenti del ritmo. Il ritmo ha varie componenti, allo stesso modo delle correnti marine, fluviali, ma anche dell’aria, dell’etere, dell’atmosfera. Ma le correnti non sono caotiche, non rappresentano una disgregazione ossessiva e aggressiva degli elementi: in esse c’è sempre una forma. Pensate a quando ci si immerge in una piscina e sul fondo si vedono, nei riflessi di luce e ombra, i moti dell’acqua prodotti dal nostro corpo. I moti, per quanto convulsi, hanno una direzione, data da come muoviamo le braccia e le gambe. Se lo stile è quello delle rana, le curviamo come angoli elastici, e i moti hanno una certa dinamica. Se nuotiamo a stile libero, le braccia si avvicendano in una rotazione orizzontale intrecciata, le gambe vanno parallele in su e in giù, i moti hanno un’altra dinamica. Nella fluidità della scrittura, il ritmo dà sempre una forma. Per me il verso è un’unità ritmica (o cellula, stringa, si potrebbero trovare tanti sinonimi) e le strofe sono movimenti strofici. Unità ritmiche e movimenti strofici nascono da relazioni tonico-sillabiche che danno alla scrittura una spazialità grafica e un esatto sviluppo cinetico del pensiero. Un compositore riconosce queste relazioni tonico-sillabiche interne e può trasferirle nel linguaggio della musica. Forse per lui contano di più i rapporti ritmici tonico-sillabici che il significato delle parole e riesce a vedere nel testo delle forme transmentali, come le chiamava Osip Brik, uno dei formalisti russi: figure dove le parole valgono per i toni e i colori dei suoni che contengono. Così si trova la musica nel testo. Ma poesia e musica restano comunque due campi distinti, perché in poesia il ritmo è formato da un legame indissolubile tra relazioni tonico-sillabiche e sintassi. E, se nella poesia antica le relazioni tonico-sillabiche avevano un peso superiore rispetto alla sintassi – si poteva dire che i testi equivalessero a un canto, a qualcosa di molto diverso rispetto alla lingua parlata –, nella poesia contemporanea la sintassi è più rilevante. La sfida della poesia contemporanea è esprimere rapporti ritmici tonico-sillabici che formano un tutt’uno con la sintassi, in modo naturale, necessario, autentico. Ci sono casi in cui mettendo in musica una poesia si riesce a trovare un’armonia compositiva: trasportando le relazioni tonico-sillabiche nel linguaggio musicale, si mantiene anche il senso della sintassi del testo. Credo che nel nostro esperimento questo risultato ci sia. Poi devo dire che il libro è nato in stretto contatto con la musica. Ad esempio, c’è una sezione che si chiama La camera del suono. L’avevo pensata come una stanza reale, bianca, vuota e morbida, dove le mente potesse venire a un contatto puro con la musica. Avrei voluto inserire epigrafi da brani musicali degli ultimi anni: Bird Girl degli Anthony and the Johnsons, The Whale degli Years & Years, Runway, Houses, Cities, Clouds dei Tame Impala, Sea calls me home di Julia Holter. Mi piacerebbe ci fosse la possibilità di avere la percezione dei testi come fossero ologrammi, vivi, accanto a noi, in una dimensione immediata e intensa, com’è quella della musica: ma sempre in una relazione armonica, per me essenziale, tra rapporti tonico-sillabici e sintassi.
Insieme allo schermo, uno dei grandi protagonisti di Trasparenza è il corpo: corpo che manca nella realtà digitale e la cui assenza cerca costantemente di essere sopperita, e corpo al quale, dunque, sembra necessario fare ritorno durante e dopo l’esperienza dell’online.
La poesia da una parte e la musica dall’altra e poi poesia e musica insieme come si pongono rispetto alla corporalità? La eludono, la ricreano? Possono, loro, farne a meno?
E.C.: In uno dei nostri brani Maria, integrando alcune frasi al testo già esistente, sentendone forse la necessità, usa immagini riferite al corpo. La poesia, la musica, ma le arti in generale, per me sono alla continua ricerca di sensazioni che si provano attraverso uno scambio corporale come può essere una mano che ti tocca o un abbraccio. Il periodo che stiamo vivendo, la pandemia, che ci tiene chiusi in casa, lontano dagli altri, anche dai nostri familiari più stretti in alcune circostanze, diventa un trampolino, nel voler ricreare sensazioni dettate dal contatto. La loro assenza fa sì che ci sia una bramosia. Di conseguenza l’arte, la musica, le parole, andranno a ricercare con una forza moltiplicata rispetto a quando le abbiamo a portata di mano. Credo che la corporalità sia insita nell’arte, non può certamente farne a meno. Un artista è una persona che porta sul piano espressivo le sensazioni provate attraverso lo scambio corporale. E’ vero che la fantasia e l’immaginazione trascendendo, attingono da un mondo al di sopra delle percezioni sensoriali, ma questo mondo lo abbiamo costruito nei primi mesi della nostra vita, quando tutto si basava sui cinque sensi.
M.B.: Il corpo è come un conduttore di elettricità per il ritmo. Il ritmo si esprime attraverso il corpo e i rapporti tonico-sillabici nascono in una dimensione fisica, che precede quella mentale, logica, o meglio che ingloba una parte fondamentale della mente: l’empatia. Poi interviene la parte logica, della sintassi, che per chi scrive è più importante che per chi suona. In questo senso, il corpo apre anche un altro aspetto. In musica i toni e i colori sono articolati per rapporti matematici: è una matematica corporale, la matematica più istintiva e potremmo dire ‘illogica’ che esista. In poesia le relazioni tonico-sillabiche hanno anch’esse dei rapporti matematici, ma si tratta di una matematica più ‘razionale’, per via della sintassi: è una matematica empatica e meno corporale, meno ‘animale’. D’altra parte, il ritmo può essere visto in due modi: in una dimensione corporale pura e in una riflessa. Per la prima, esso è tutto ciò che si alterna regolarmente, indipendentemente dall’identità di ciò che effettivamente si alterna, quindi l’alternanza è vista in una fisicità materiale assoluta (il ritmo del battito cardiaco e quello delle onde del mare possono essere messi sullo stesso piano). Per la seconda, il ritmo esprime un rapporto tra il corpo, e dunque il suono, e il pensiero: esso è un’espressione antropologica dove la fisicità riflette le idee e i sentimenti. Direi che in poesia avviene una specie di transfert autoindotto dal suono al senso e viceversa, che è anche una forma di controllo e di distanza. Il transfert permettere di rappresentare e di riflettere su quello che accade, su quello che sentiamo e pensiamo, di unire la poesia con il saggio.
Trasportare la poesia in musica e la musica in canzone. Ma voi, nel vostro progetto, fate qualcosa più di questo, perché è come se procedeste a una riscrittura di Trasparenza, sapendola destinata non più alla carta del libro bensì alle note dello spartito.
Ci raccontate, ognuno dal proprio punto di vista, questo viaggio tra la lingua, i suoni, la voce?
E.C: In effetti è un viaggio quello che percorro quando inizio a lavorare su un nuovo testo. Cerco di comprendere il luogo dove vengo trasportato e la musica adatta a quella particolare atmosfera, poi guardo la poesia nel suo insieme, andando a cercare quelli che potranno essere i punti chiave, i punti di svolta, i nodi ritmici, per i passaggi dentro la canzone. In questa fase tutto ha una logica precisa. Poi comincio il lavoro sulle singole frasi e sulle singole parole. Per intenderci è come guardare dal satellite e poi andare a zoommare. Nel contempo coesistono due stadi diversi di lettura-ascolto: quello metrico e quello melodico. Alla fine ognuno di loro deve abbracciare l’altro senza stritolarlo, devono stare bene insieme. Infine c’è l’interpretazione vocale, che dovrà richiamare contemporaneamente il ritmo, la melodia e lo stato d’animo.
M.B.: I primi brani che Elio mi ha mandato riproducevano esattamente i testi che aveva scelto: era riuscito a trovare un accordo totale tra la scrittura e la melodia. Tuttavia, qualcosa era accaduto: il ritmo tonico-sillabico era stato immediatamente riconosciuto, ma trasposto in un’altra forma, come se le mie unità ritmiche e i miei movimenti strofici fossero stati riorganizzati sullo spartito. Interpretati musicalmente, hanno preso un’altra disposizione, pur mentendo tutti i toni e le intensità semantici al posto giusto: ad esempio, dove c’è un punto di domanda, la melodia trova un tono dell’intensità giusta per renderne il senso, così come dove il ritmo marca alcune parole chiave la melodia lo riproduce. La figuralità della musica concede più libertà. Posso dire che tra i miei testi e la musica non c’è un legame estensivo: non esistono parallelismi studiati, o corrispondenze, tra il processo della scrittura e le tecniche musicali. Il legame è intensivo: la riscrittura musicale dei testi dà loro una nuova dimensione che intensifica alcune caratteristiche – una parola chiave può brillare di più, un’unità ritmica forte è resa in modo che sia percepita in modo più netto. Però se leggiamo il testo sulla pagina e se lo ascoltiamo in musica notiamo anche che poesia e canzone sono sostanzialmente autonome. La poesia e la musica non sono la stessa cosa. In un paio di casi, è capitato che Elio mi chiedesse di modificare delle parti del testo originale: un refrain aveva bisogno di una variazione adatta alla melodia che non c’era nell’originale. Allora ho pensato ‘per musica’: ho considerato le parole solo come forme transmentali, concentrandomi esclusivamente sui rapporti tonico-sillabici, battevo il tempo e contavo con le dita, stavo facendo musica con le sillabe delle parole, ma non stavo facendo poesia. Provo a spiegarlo con un esempio. L’ultimo testo che Elio ha musicato è la traduzione inglese di una poesia che fa parte di un progetto inedito, Dal deserto rosso. Queste sono le versioni italiana, inglese e quella della canzone:
Sono un punto solo nel deserto rosso:
oggi è questa la mia dimensione, un punto
che non ha lunghezza, larghezza, profondità,
caduto dalla parte più alta del cielo su una terra
piena di silenzio e pura improvvisamente.
Ti scrivo da una zona rossa, ed è questa la verità:
i confini sono tracciati, il rosso ha riempito lo spazio,
vuoto, neutro, senza uscita, e tutti sono come me,
punti soli, senza illusione, nella prima primavera
del millennio che al tempo sta cambiando la faccia.
Ti scrivo e da questa stanza sussurro che se un punto
non ha dimensioni è perché forse le ha unite tutte in sé?
Pensarsi è unirsi – mentre la notte e il giorno
hanno un unico colore e impariamo a pensarci –
e un bene, come mai, nuovo?
*
From the Red Desert
In the red desert I’m a single dot:
my size today, a dot
without length, width, depth,
fallen from the sky’s highest point on an earth
filled with silence and suddenly pure.
I write to you from the red zone, and here’s the truth:
the borders are drawn, the red has filled the space
without entry or exit, and all are like me,
single dots, with no illusion, in the first spring
of a millennium now changing the face of time.
From this room I write to you and whisper: if a dot
has no dimension, is it because all are contained within it?
To think is to unite—meanwhile day and night
are the same color, we learn to think of one another,
of, somehow, a new good.
(traduzione di Danielle Pieratti, dalla rivista “Words Without Borders”: https://www.wordswithoutborders.org/article/coronavirus-voices-from-the-pandemic-from-the-red-desert-borio-pieratti)
*
Desert Red
In the desert red I’m a single dot:
my size today, a dot
without length, width, depth,
fallen from the sky’s highest point on an earth
filled with silence and suddenly pure.
I write to you from the red zone, and here’s the truth:
if a dot has no dimension, is it because all are contained within it?
To think is to unite—meanwhile day and night
are the same color, we learn to think of one another,
of, somehow, a new good,
join the same border, we learn to feel for one another,
of, somehow, a real good.
The borders are drawn, the red has filled the space
without entry or exit, and all are like me,
single dots, with no illusion, in the first spring
of a millennium now changing the face of time.
From this room I write to you and whisper:
if a dot has no dimension, is it because all are contained within it?
To think is to unite—meanwhile day and night
are the same color, we learn to think of one another,
of, somehow, a new good,
join the same border, we learn to feel for one another,
of, somehow, a real good.
Are the same color, we learn to think of one another,
of, somehow, a new good.
Ascoltando l’esecuzione, vi sarete accorti subito che la trasposizione musicale per ragioni ritmiche cambia “red desert” in “desert red”, che in inglese acquista un’aura molto evocativa. Inoltre, nella trasposizione è colto bene il ritmo tonico-sillabico delle cesure nelle unità ritmiche (“In the desert red / I’m a single dot”, che funziona allo stesso modo nell’italiano: “Sono un punto solo / nel deserto rosso”) e anche le variazioni di intensità emotiva: la scala dei toni si alza, si fa più drammatica quando arriviamo a “I write to you from the red zone…” e porta così a una riorganizzazione dei movimenti strofici, per cui la poesia originale che appare compatta viene aperta e scandita a varie intensità. Ma il punto più significativo riguarda il refrain (in corsivo) – che è particolare perché ha due livelli interni, è polifonico – dove Elio mi ha chiesto di fare un intervento per aggiungere due unità ritmiche che avessero la stessa misura di “are the same color, we learn to think of one another, / of, somehow, a new good”. Ho pensato, allora, alle equivalenze tonico-sillabiche interne alle parole come forme prima di tutto trasmentali in cui – per l’equivalenza reciproca di battiti nella scansione – “are” va di pari passo con “join”, “color” con “border”, “to think of” con “to feel for”, “new” con “real”. È stato un processo di composizione completamente diverso rispetto a quando ho scritto il testo originale.
Un’accademica e un musicista. Sembrerebbe che, dentro questo lavoro di sinergia e armonie funzionali, si possa tornare a trovare una strada di comune generazione tra la poesia e la musica, due arti non così lontane che però alcuni usi impropri della terminologia e talune performance poco studiate hanno fatto divergere, quantomeno nei dibattiti e nelle considerazioni.
Qual è la conditio sine qua non perché il dialogo tra musica e poesia sia proficuo e quale rotta provare a seguire perché i frutti nati dall’incontro di versi e note si moltiplicano e siano, a loro volta, fertili?
E.C.: Trasformare una poesia in una canzone è un processo non immediato, vanno capite le dinamiche del testo approfonditamente prima di iniziare. Taluni pensano che una canzone debba avere delle regole semplici per essere definita tale e per poter avere appeal nel pubblico. Io credo il contrario. Le persone hanno tutte una sensibilità profonda da valorizzare. Io canto una canzone se collima con i miei pensieri. Ecco, allora chiedo perché limitarla? Possiamo attingere dall’universo che abbiamo dentro di noi e la poesia ci aiuta a rivelarlo ma, in quanto strumento potente, va trattata con cognizione altrimenti si rischia di farne un uso improprio. Questo sì. La conditio sine qua non sta nel conoscere le scansioni ritmiche, averne padronanza, avere talento nel solfeggio, per poter stare al passo con il testo, per quanto esso sia difficile. Certo, molto dipende anche dal tipo di testo, dalla sua versatilità ritmica. Ogni parola contestualizzata nella frase dovrà avere il suo senso ritmico adeguato. Se si cerca a fondo lo si trova sempre. Poi ci si stende sopra una melodia. Lo stesso discorso dovrebbe valere anche nel senso inverso, cioè partendo dalla melodia e costruendo poi il ritmo. Con questi presupposti non vedo limitazioni.
M.B.: Penso che gli scrittori non possano vivere senza musica. Non sono sicura che i musicisti possano affermare che non riescano a vivere senza letteratura. La musica – per la sua natura immediata (vale anche per le immagini) – fa parte dell’antropologia contemporanea a tutti i livelli, mentre la letteratura appartiene solo ad alcuni spazi. È normale entrare in un qualsiasi negozio o bar e sentire la musica di sottofondo. Non è stato sempre così. Prima degli anni Ottanta il mondo era più silenzioso e la musica prodotta doveva avere una qualità distintiva particolare. Gli anni Settanta sono stati il periodo dei grandi cantautori anche perché la musica aveva un significato sociale e espressivo delineato, non potevano esserci sovrapposizioni tra il motivetto lounge di un ascensore e un ellepi. Nell’esperienza di oggi un album e il brusio musicale diffuso si contaminano. Ma l’aspetto più critico è che non vengono riconosciuti in essi significati simbolici. Chi si chiede davvero che cosa significa un brano, perché è stato composto? I pezzi sono davvero ascoltati? Non sono piuttosto percepiti e velocemente dimenticati? Molto musicisti compongono secondo questa logica della velocità e della riproducibilità. Il trap, molto diffuso tra gli adolescenti in Italia (sulla metro capita di sentire che ascoltano trap dalle cuffie…), è fatto di una totale distorsione semantica delle parole, spesso troncate nella parte finale, mozzate, ma anche inventate per far rima con altre, e poi incollate su un ritmo di fondo, ripetitivo, a base atonale, pressoché identico in tutti i pezzi. Il trap è una delle espressioni trasmentali più forti degli ultimi anni. Questi pezzi raggiungono milioni di ascolti, ma vengono dimenticati nel giro di pochi mesi. Nella poesia, la musica può ritrovare l’importanza della sintassi, dei significati, del perché una composizione riuscita ha un senso profondo, non intercambiabile, che è memorabile.
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