Letteratura

Togliete il Nobel a Dylan e datelo a Murakami

17 Novembre 2016

Il titolo è volutamente una provocazione, ma alla fine Bob Dylan, pur accettando il premio Nobel per la letteratura, non si presenterà a ritirarlo di persona durante la tradizionale cerimonia che si terrà a Stoccolma il 10 dicembre prossimo. Si chiude così la surreale querelle partita un mese e mezzo fa tra il menestrello di Duluth e l’Accademia di Svezia. Conclusione prevedibile, considerata la freddezza con cui lo stesso cantautore aveva accolto la notizia dell’insigne riconoscimento tributatogli. Un tira e molla partito con un lungo e imbarazzante silenzio iniziale, seguito da un timido “grazie” e terminato con il più classico dei “vorrei ma non posso”.

Certo, non gliel’ha ordinato il medico di presentarsi alla cerimonia: pochi ma documentati precedenti analoghi esistono, è sufficiente leggere uno dei numerosi articoli in rete che segnalano chi il premio non l’ha voluto (pochi) o potuto (molti di più) ritirare.

Ognuno avrà avuto i suoi buoni motivi e di sicuro saranno inderogabili e improrogabili anche gli impegni dichiarati da Dylan, resta il fatto che la vicenda un po’ di amaro in bocca lo lascia. Specie per chi come me da anni tifa per un quasi settantenne scrittore molto riservato che risponde al nome di Haruki Murakami. Già me lo immaginavo ringraziare sul palco per la prestigiosa onorificenza ricevuta, imbarazzato e un po’ ingessato nello smoking ma felice del riconoscimento. E me lo figuro la sera stessa nella sua camera d’albergo tornare nella sua zona di comfort e lasciarsi sopraffare dalle suggestioni della giornata e a fare ciò che più gli piace: scrivere.

A ben guardare anche lui ha dato tanto alla letteratura americana, ma per capire l’ampiezza di questo contributo è bene sapere quanto lui abbia attinto ad essa. Basti pensare a Norwegian Wood, uno dei suoi più celebri romanzi, che lui stesso definisce “autobiografico nel senso in cui lo è Tenera è la notte per Francis Scott Fitzgerald”, o di come si sia lasciato docilmente e magicamente influenzare dall’impetuosa energia di Salinger, o dalla galoppante immaginazione di Philip K. Dick e poi Irving, Capote, Chandler, Carver, e si potrebbe proseguire ancora.

Così facendo Murakami ha intrecciato quel torrente eterogeneo, appassionato e a tratti primitivo che è la letteratura americana del ventesimo secolo con la millenaria tradizione del Giappone, creando un nuovo genere apprezzato da decine di milioni di persone di tutto il mondo.

È vero, una volta ha dichiarato che “la cosa più importante sono i lettori, in confronto a loro i premi e le recensioni non contano nulla”, ma non avrebbe sicuramente negato all’Accademia e al mondo un reverente e grato inchino, com’è giusto per chi – ancorché famoso e talentuoso – non dimentica la gratitudine e il rispetto.

 

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