Letteratura
Sulla scrittura, sui limiti espressivi, sull’inesprimibile…
Così scriveva Ungaretti: “Tra un fiore colto e l’altro donato l’inesprimibile nulla”. Ma potremmo anche aggiungere l’inesprimibile Tutto. Abbiamo dei limiti espressivi universali. La psicologia generale ha dimostrato che noi percepiamo molto più di ciò che esprimiamo verbalmente con l’esperimento di Brown e Lenneberg nel 1954, utilizzando la mappa dei colori di Munsell. Ebbene ci sono delle sfumature cromatiche percepite visivamente ma innominabili per tutti (anche per Dante che scrisse le tre cantiche in terzine incatenate di endecasillabi canonici e per Perec che scrisse un romanzo senza la lettera e) e delle “zone di incertezza”, su cui c’è disaccordo tra le persone nell’attribuire i nomi ai colori. Ci sono scrittori e poeti che sfiorano asintoticamente l’inesprimibile, che resterà sempre tale per tutti. I grandi artisti riducono solo la quota di inespresso, di non detto. L’inesprimibile resta lì, intangibile.
Ecco perché ogni artista che si rispetti, non importa se riconosciuto o meno, si deve sentire un fallito. Scrivere non è riuscire, cioè esercitare la propria empatia e furbizia per intercettare i gusti del pubblico, ma osare l’impossibile, sfidare i propri limiti e quelli di tutti: per l’appunto fallire, come ci insegna Beckett. Le zone di incertezza e le cose innominabili non esistono solo per le tinte dei colori ma esistono anche per le sfumature dell’animo, per i pensieri, per ogni tipo e forma di sensazioni. Il punto d’arrivo della scrittura è riconoscere la nostra inadeguatezza, la nostra limitatezza, che è del percepire, del dire, del conoscere. Per anni ho letto libri sulla creatività. Molto tempo fa c’erano studiosi che ritenevano che ogni pensiero venisse categorizzato verbalmente. Più recentemente si parla anche di pensare per immagini. La creatività spesso consiste sia nel verbalizzare concetti che nel catturare immagini inconsce, che fluiscono dentro di noi. Un artista è tale quando ha pochissimi limiti personali e la maggioranza dei suoi limiti sono quelli universali. In questo senso un artista dovrebbe cercare di ridurre sempre i suoi limiti personali fino a raggiungere le colonne d’Ercole del linguaggio, dell’espressione. Dovrebbe arrivare fino al limite estremo della conoscenza umana, dove non si può andare oltre. Il grande genio è quello i cui pochi limiti espressivi sono solo quelli di tutta l’umanità. Naturalmente un artista si deve sempre scontrare quotidianamente con il mistero della creatività. La vena creativa può esaurirsi da un giorno all’altro. Lo sapeva bene Goffredo Parise che nei suoi racconti del libro “Sillabari” si fermò alla lettera s invece di arrivare alla z. Scrivere è porsi una mission impossible. È chiaro che ogni artista ha i suoi limiti e nessuno sa con certezza quali siano veramente.
Uno scrittore dovrebbe sempre chiedersi: ho fatto del mio meglio? Posso fare di più? Posso migliorarmi? Posso superarmi? Invece molti si chiedono: come posso avere consenso e successo? È indiscutibile che tra il lavoro per la conoscenza e quello per arricchirsi ci sia una differenza sostanziale. L’arte dovrebbe presupporre come prioritario il concetto di limite e poi giungere alla metafisica dei limiti. Un artista non deve avventarsi contro i limiti del linguaggio tout court ma contro le sue capacità espressive personali. Il non plus ultra sarebbe quello in cui il non detto è solo e soltanto l’indicibile. Per arrivare a ciò uno scrittore o un poeta dovrebbero arricchire il loro linguaggio ma anche conoscere la realtà e conoscersi interiormente il più possibile. Anche se scrivere è un’attività solitaria, bisogna poi condividere. Non si può fare della propria scrittura un idioletto. Come scriveva Nietzsche: “Uno solo ha sempre torto. Con due inizia la verità”. Oppure Eluard: “Non verremo alla meta uno a uno ma a due a due”. Il mondo della letteratura e della poesia si divide talvolta tra tradizione e innovazione: tra chi cerca di scrivere meglio le cose che sono già state scritte e chi cerca di scrivere cose nuove o in modo nuovo. Probabilmente gli artisti migliori sono quelli che hanno in sé sia la tradizione che l’innovazione. Ci sono scrittori che si sforzano di descrivere in modo puntiglioso la realtà, altri, i narratori, che vogliono descrivere il fluire della vita, degli eventi e altri che cercano di simboleggiare e trasfigurare la realtà. Di solito in ogni scrittore e poeta c’è una prevalenza di uno di questi tre aspetti. È difficile stabilire perché uno scrittore privilegi un aspetto o un altro: può dipendere dalla cultura, dalla personalità di base, dall’attitudine. Personalmente trovo che gli scrittori e i poeti più completi abbiano nella loro opera la presenza significativa di tutte queste componenti artistiche.
Ma già Aristotele spiega benissimo che conosciamo solo ciò che riusciamo a tradurre in linguaggio. Il che certo non esclude altri contatti di conoscenza, ma appunto, inesprimibili. E sia chiaro: anche la matematica è un linguaggio. Noi non conosciamo la realtà, ma la rappresentazione che siamo capaci di darne.