Letteratura

Stare sul mercato

1 Novembre 2019

Stamattina non me la sentivo proprio di andare in ufficio. Avevo almeno quattro buoni motivi per starmene a casa: avevo dormito poco, avevo una faccia da far paura, non avevo sentito la sveglia, quindi sarei arrivata in ritardo, pioveva (e continua a piovere, se è per quello).
Ogni mattina è così.
“Vado o telefono?”, mi chiedo.
Poi finisce sempre che vado, al mio posto di lavoro ci tengo. Non sarà il massimo, ma ci pago l’affitto e tutto il resto.
Ma stamattina proprio mi mancavano le forze.
Ed ora sono qui che mi trascino per casa con un vago senso di colpa.
Mi riguardo allo specchio, mi sposto i capelli da una parte all’altra del viso, li raccolgo sulla nuca, mi sorrido, mi faccio delle boccacce, raccolgo le mani sotto i seni e li sollevo per vedere l’effetto che fanno.

Comincia a pesarmi la condizione di single.
Non è stata una scelta.
Molte delle relazioni che ho avuto sono andate vicinissime al matrimonio.
Con gli uomini che ho avuto abbiamo visitato appartamenti, pensato a mobili da comprare, scelto la chiesa, discusso sulla cerimonia, deciso mete per viaggi di nozze, persino visitato negozi di bomboniere.
Ma al dunque sempre la stessa storia.
Con il primo il conflitto riguardava l’educazione da dare ai figli. 
Tutto era esploso con assoluta casualità. Seduti in autobus uno di fronte all’altro, tornavamo verso casa. Una bambina, seduta vicino a noi con la madre, si agitava per la stanchezza in maniera un po’ scomposta, senza curarsi del fatto che ogni tanto le sue scarpine sfioravano gli immacolati pantaloni del mio fidanzato.

Per tutta la durata del percorso lui era rimasto immobile senza protestare, poi, non appena scesi, si era messo a sbraitare istericamente : “Non la sopporto questa gente che, per il solo fatto di avere dei figli piccoli, si aspetta che anche gli altri siano in adorazione e subiscano ogni tipo di molestia!”
Non gli ho chiesto neanche se faceva sul serio.
La semplice idea di dover condividere il resto della mia vita con un personaggio siffatto, con l’aggravante magari di avergli concesso di diventare il padre dei miei figli, mi faceva star male.
Lui non ha mai saputo perché lo avevo lasciato. Forse ha pensato che avessi un altro.
In modo altrettanto improvviso sono finite tutte le altre storie.
Passata l’ebbrezza dei primi mesi, quelli nei quali si è disposti ad accettare qualsiasi cosa, era sempre un motivo apparentemente futile quello che mi convinceva di essere sulla strada sbagliata.

Mi hanno sempre detto che sono bella, ma se guardo le foto di quando avevo venti o trent’anni mi scopro insipida.
Scopro di aver avuto vestiti improbabili, mi soffermo sulla eccessiva rotondità delle mie cosce (che poi anni e anni di palestra avrebbero reso più toniche), sulla scarsezza del seno (che un robusto assegno versato ad un chirurgo plastico avrebbe trasformato da piccolo avamposto in possente roccaforte).

Insomma non mi cambierei mai con quella che ero dieci o vent’anni fa.
Del resto non ho mai ”incontrato” così tanto come in questi anni.
Non è solo una questione di tette rifatte o di cosce palestrate, mi sento molto più sicura di me, estroversa ed intrigante di com’ero da ragazza.
Possibile che con tanti uomini che mi accostano e che mi piacciono non ci sia mai quello giusto?
Da qualche parte deve pur esserci, mi dico.
Una mia amica dice: “Cosa vuoi, hai aspettato tanto, adesso quelli che vanno bene per te non sono liberi!”.
Sciocchezze. Nessuno è mai completamente occupato.
L’importante, come dice sempre, a tutt’altro proposito, il mio capo, è stare sul mercato, prima o poi arriverà quello giusto. E saranno cavoli suoi…

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