Letteratura
Spiritualisti e noiosi, alla larga dai moralisti del Natale
I moralisti del Natale, tra i quali ci sono anche molti cattolici, non vedono l’ora ogni anno di rifilarci le loro prediche serie e compunte contro i regali sotto l’albero e gli abeti veri («vergogna, distruggi l’ecosistema», intimano minacciando di chiamare subito il WWF), i pranzi troppo succulenti con una bottiglia di vino e qualche dolcetto in più.
Sono seriamente indignati, profondamente spiritualisti va da sé, e terribilmente noiosi: quei tipi insomma con cui non usciresti una sera a cena neanche sotto tortura. Somigliano un po’ a Lord Ivywood, il ministro inglese protagonista de L’osteria volante di Chesterton, «una di quelle vecchie statue marmoree che sono impeccabili nelle linee, ma mostrano solo ombre di grigio e bianco». Come Lord Ivywood, i moralisti del Natale vogliono migliorare e spiritualizzare l’umanità perché non la amano. E non amano neanche se stessi. E confondono il cristianesimo, la religione del Dio incarnato, con uno di quei tanti culti disincarnati e anti sacramentali che disprezzano il corpo e la corporeità.
Tutto il contrario insomma del Dio «di tutte le cose buone sulla terra», per dirla ancora con Chesterton, che a Natale ha deciso di farsi carne, non spirito, e a «porre la sua dimora in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Senza dimenticare che quel Bambino, qualche anno dopo, alle nozze di Cana, muterà l’acqua in vino e non il vino in acqua. Con buona pace di astemi e salutisti, varianti moderne del neo paganesimo.
E allora ben vengano a Natale i cenoni e le stelle filanti anche un po’ kitsch, i regali sotto l’albero e i presepi con i pupazzetti e il muschio e la paglia, le lucine colorate e le tombolate in famiglia e i cappellini rossi. Chesterton amava tutte queste cose anche (un po’) ridicole, perché, come scriverà in un articolo del 1910, sono «capaci di scuoterci dalle nostre rigide abitudini», dal momento che «la cosa importante nella vita non è mantenere un rigido sistema di piacere e compostezza (che si può facilmente ottenere indurendo il cuore o la testa) ma mantenere vivo in sé l’immortale potere dello stupore e del riso, e una sorta di giovane reverenza».
Il marchio di fabbrica del cristianesimo è il suo concreto, genuino materialismo che lo differenzia da certi misticismi oggi tanto di moda e da molte pacchiane superstizioni spiritualeggianti.
Il Dio cristiano è un “creativo”, si direbbe utilizzando una parola che piace alla gente che piace, perché per rivelarsi ha scelto di incarnarsi spiazzando gli spiritualisti di ieri e di oggi che, anche tra i cattolici, parlano in astratto di tutto e a tutto mettono la maiuscola: Pace, Fiducia, Gioia, Speranza, Amore ma dimenticano l’uomo nella sua concretezza e dignità di carne e sangue. E perciò scivolano pericolosamente nell’ideologia.
Incarnandosi, ci ha insegnato a fuggire ogni astrattezza, a dirci che il mistero dell’amore è che non si “ama l’amore” ma Beatrice, Claudia, Miriam, ognuno nella loro unicità, splendore e anche miserie. E che Dio non ama l’uomo in generale ma ognuno con il suo nome e la sua storia e nella sua concretezza fino a disegnarne il nome sui palmi delle mani e contare i capelli della testa.
La religione del Dio fatto uomo è la religione umana e umanistica per eccellenza perché impastata di concretezza e sensualità, permeata dal senso della terra, della tradizione e del suo evolversi, della pietas, della memoria, della finitezza che non è fine, della carnalità degli affetti.
A Natale si celebra il Dio che incarnandosi non ha voluto restare in una distanza remota e inaccessibile ma ha abbracciato e valorizzato persino i piccoli, semplici piaceri di ogni giorno, tanto più preziosi perché ci ricordano che siamo solo uomini. Cioè creature. Una bevuta in compagnia, un bel rossetto che rende più sensuali le labbra di una donna, un ballo insieme.
I moralisti del Natale, invece, danno l’impressione che Gesù Cristo per loro sia solo una scusa per parlare d’altro. Vogliono rinnegare il «divino materialismo» della creazione e ricacciare indietro gioia e allegria, preferiscono un cristianesimo tutto trincerato nel moralismo e nei divieti. Ossia triste come loro. E quindi per nulla attraente.
Mentre Chesterton già nel 1908 aveva scritto che «ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo».
C’è da stare allegri quindi e a Natale stappare una bottiglia in più di spumante. Perché Cristo, incarnandosi, ha sdoganato l’allegria, la salute e la fantasia. E ci ha permesso di trovarlo nell’abbraccio degli amanti, nei desideri del cuore, nei gesti di ogni giorno.
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