Letteratura
Spezzare il pane
Entrando in ascensore quella mattina, Mambretti aveva incontrato Bortoluzzi.
“Eccolo, il Colibrì“, aveva subito pensato.
Povero Bortoluzzi! Pochi giorni dopo la sua assunzione in azienda, il collega al quale era stato affiancato per l’addestramento aveva detto di lui: “E’ un miracolo della natura: 130 chili di muscoli attivati dal cervello di un colibrì”
E quel soprannome -Colibrì- gli si era subito appiccicato addosso come un adesivo.
“Dottore, dovrei parlarle”, aveva detto Bortoluzzi, all’uscita dall’ascensore.
Con una piccola smorfia di disappunto che non si era nemmeno dato la pena di dissimulare, Mambretti gli aveva risposto. “Allora venga subito”.
“Il problema”, aveva esordito il Colibrì, “è quella procedura che abbiamo mandato in giro un paio di settimane fa. Pare che nessuno la applichi. Forse è il caso che lei faccia un giro di telefonate…”
“Caro Bortoluzzi”, replicò gelidamente Mambretti, “una delle poche cose che ho imparato è che se io faccio il lavoro dei miei collaboratori non faccio il mio”
“Veramente pensavo che un richiamo da parte sua avrebbe più probabilità di essere ascoltato…”
“Vede, Bortoluzzi, il problema è che la procedura viene ignorata perché non é stato fatto abbastanza per renderla operativa. E questo se non sbaglio è compito suo”
“Ma”, iniziò battagliero l’altro, “mi sembrava che le indicazioni contenute nella nostra lettera fossero abbastanza chiare”
“Forse per lei che le ha scritte! Si ricorda quel giorno in cui mi ha portato il testo di quella lettera per farmelo approvare. Allora, come oggi, sembrava questione di vita o di morte, occorreva chiudere il tutto in giornata!”
“Era lei che mi aveva dato il termine del 15 ottobre per la spedizione di quella lettera!”
“Si, ma glielo avevo detto il 5! Sperando che dei dieci giorni disponibili, ne fossero riservati almeno un paio a me per esaminare la sua bozza, correggerla e validarla. Invece lei si è preso tutti i dieci giorni disponibili e il 15 sera si è presentato da me con una lettera più carica di ghirigori di un capitello corinzio e un atteggiamento della serie: guardi che se non firma subito, è colpa sua se non rispettiamo i termini.”
“Ma mi sembrava che quella lettera andasse bene..”
“Cosa le dissi, allora, Bortoluzzi?”
“Mi ricordo che qualche riserva lei l’aveva. Poi però ha firmato!”
“Purtroppo sì. Avevo letto il testo due o tre volte, costringendomi ogni tanto a tornare indietro per quanto i periodi erano lunghi, complessi e infarciti di incisi. Ce ne era uno di dodici righe che avrebbe consentito a chiunque di noi avesse voluto leggerlo ad alta voce senza pigliare fiato di batter il record di apnea in assetto costante. Ricordo anche che le dissi in quell’occasione che per esser convincenti, bisogna a volte essere anche un po’ avvincenti. E adire il vero il suo testo era avvincente. Ma come un boa constrictor!”
“Ma era una lettera di contenuti specialistici, rivolta a specialisti…”
“Me lo aveva detto anche allora. Infatti io, doppiamente stremato, prima dalla sua bozza, poi dalle sue insistenze, l’ho firmata, rinunciando a quel lavoro di potatura che io non avevo il tempo e lei la voglia di fare. Ricordo bene quello che le ho detto allora: che io mi assumevo la responsabilità della sostanza, lasciando a lei quella della forma. Questo sa che vuol dire?”
Bortoluzzi non rispose. Era imbronciato e offeso, continuava a pensare che quel rabuffo fosse immeritato e ingiusto, ma era fermamente deciso a non peggiorare la situazione. Rimase perciò in attesa della sentenza.
“Questo vuol dire”, riprese Mambretti, “che lei adesso si mette in moto e va a trovare tutti i suoi colleghi che non hanno digerito la procedura e gliela spiega per bene. E magari approfitta dell’occasione per capire quali sono i problemi!”
Detto questo, Mambretti si alzò, in segno di commiato.
L’altro rimase seduto una frazione di secondo in più del necessario, giusto la misura del suo smarrimento
Poi si alzò a sua volta, cercando affannosamente di dipingersi sulla faccia un’espressione di buona volontà ed ispirato ottimismo.
Mambretti sapeva di essere stato troppo duro con il suo collaboratore.
Nel congedarlo, usò quindi un tono più bonario:
“Lo sa cosa mi disse una volta uno dei miei capi? Era una situazione identica a questa: anche io mi lamentavo con lui della scarsa attenzione di alcuni colleghi nei confronti di non ricordo più quali indicazioni avevo trasmesso loro pochi giorni prima. Andai dal mio capo per cercare conforto e protezione, esattamente come lei.
E lui, con molta più serenità di quanto sia riuscito ad esprimere io oggi parlando con lei, mi disse questa semplice frase: bisogna spezzare il pane alla gente se vogliamo che lo mangi”.
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