Letteratura
Somiglianze inaspettate
Sempre più mi sembra di avvicinarmi a mio padre in molte delle cose che faccio.
Mi alzo presto, la mattina.
Come faceva lui. Anche adesso che non sarebbe più necessario.
Entro in cucina che é ancora l’alba.
Cerco subito la macchinetta del caffè, la carico, la metto sul fuoco e mi siedo ad aspettare leggendo un libro o il quotidiano del giorno precedente.
Lo faccio esattamente come lo faceva lui, alzando gli occhiali da miope sulla fronte e avvicinando il viso al foglio. Se potessi guardarmi allo specchio, in quei momenti, scoprirei che ho la stessa espressione tesa ed intensa che aveva lui quando si concentrava su una cosa.
Dietro quell’apparente concentrazione, ora lo so, anche se non ne abbiamo mai parlato, c’era il suo desiderio di assaporare in assoluta libertà e solitudine l’unico momento di pace della giornata.
Aspettava anche lui, come me, che la macchinetta cominciasse a gorgogliare, pronto ad abbassare subito il fuoco e a spegnerla definitivamente dopo quattro o cinque secondi.
Mangio i biscotti insieme con il caffellatte.
Diversi da quelli che mangiava lui. A lui piacevano croccanti e secchi, io li preferisco morbidi e pastosi.
Una mattina vedendo che aprivo la scatola di latta nella quale tenevamo i biscotti si raccomandò :
“Chiudila bene poi, sennò diventano molli”.
Ricordo che risposi:
“A me piacciono molli”
Reagì con tono irritato, definendomi arrogante ed io ci rimasi malissimo perché ormai era troppo tardi per spiegare l’equivoco.
Sarebbero servite troppe parole. Avrei dovuto dirgli:
“Stai tranquillo, chiuderò bene la scatola. Volevo semplicemente comunicare con te e dirti che in fatto di biscotti abbiamo gusti diversi”.
Troppe parole per due persone come noi, molto esercitate nell’arte del grugnito, ma a disagio nelle lunghe conversazioni.
Un’altra cosa che ci avvicina sono i pigiami.
Mia madre gliene aveva comprati molti, alcuni dei quali veramente belli e confortevoli, nell’ultimo periodo della sua vita, quando ormai non si muoveva più di casa e passava continuamente dal letto alla poltrona a rotelle. Quando è morto li ho ereditati e non c’è volta che li indossi che non pensi a lui.
Porto spesso anche l’orologio che mamma gli regalò per la sua laurea, ma quando lo allaccio al polso non mi capita di pensare a lui, forse perché non glielo ho visto portare quasi mai.
Lo teneva in un cassetto , ingiallito e fermo ormai da anni quando una sera, vedendogli aprire quel cassetto, gli domandai, con intenzione:
“Cosa ci fai con quell’orologio?”
Lui raccolse l’orologio dal fondo del cassetto e me lo tese dicendo molto semplicemente:
“Puoi prenderlo se vuoi”.
L’ho fatto ripulire e accomodare, fino al punto che, nonostante la sua veneranda età, è il più preciso tra i miei orologi a carica manuale.
Dicevo dei pigiami.
Quando li metto non posso fare a meno di pensare a tutte le volte che glieli li ho visti addosso, mentre beveva il caffellatte o si faceva la barba o, più ancora, quando si appollaiava in cucina su una piccolissima sedia di legno che aveva acquistato al mercato e si metteva coscienziosamente a lucidare le scarpe fino a farle sembrare globi di vetro.
E penso: “Sono come lui; non lucido quasi mai le scarpe e preferisco un altro tipo di biscotti, ma per il resto ci sono poche differenze. Stessi pigiami, stessa introversione, stesso desiderio di tranquillità e di pace”
Conclusione inattesa per chi, come me, per buona parte della sua vita aveva pensato – ma forse farei meglio a dire che si era illuso- di essere completamente diverso dal padre.
Devi fare login per commentare
Accedi