Letteratura

Silvia: “Un non so che di divino”

9 Gennaio 2022

Ci sono poesie che lasciano il segno, si sedimentano nel cuore, te le porti dentro e non si dimenticano mai.

A Silvia”, scritta da Leopardi, è un idillio sublime, perché ne discende l’incanto della seduzione di un volto leggiadro, quello di un’adolescente che stava per varcare la giovinezza: “ E tu,lieta e pensosa, il limitar di gioventù salivi”.
Leopardi osserva quel volto come un fiore profumato, senza il desiderio di possederlo: il suo è un amore incondizionato, candido, perché quel volto è la giovinezza, la primavera, la bellezza cercata nella natura, la “pura gioia”, “l’indicibile fugacità” come scrisse Blasucci.

Nello “Zibaldone”, a commento di questa lirica, il Giovane favoloso chiosa:

”veramente una giovane dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso, ne’ suoi moti, nelle sue voci, un non so che di divino, che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, il suo gusto; allegra o malinconica, capricciosa o grave, vivace o modesta; quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell’aria d’innocenza, d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un’impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un’idea d’angeli, di paradiso, di divinità, di felicità. Tutto questo, ripeto, senza innamorarci, cioè senza muoverci desiderio di possedere quell’oggetto. La stessa divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce la fa riguardar come di una sfera diversa e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare”.

(Leopardi – Zibaldone, Pagina 4310)

Silvia, con il suo “perpetuo canto” – perpetuo perché aleggiava nell’aria anche quando non cantava- riempiva le sue stanze e le vie dei dintorni, quando si apprestava alle opere femminili. “Così soleva menar il giorno” con le sue attese di gioia modeste e schiette: ed era “il maggio odoroso”.
Il canto di Silvia sottrae il poeta dai “leggiadri studi e le sudate carte”: egli porgeva deliziato gli orecchi dal balcone della paterna casa – “il paterno ostello” – per ascoltare e nessuna “lingua mortale” può descrivere quel che lui “sentiva in seno”.
Il linguaggio ascende fino al punto in cui – scrive Citati- i sentimenti non possono essere espressi. La poesia non va oltre: tanta è la bellezza del volto di Silvia che diventa impossibile definirla.

Di questa lirica colpisce la tensione verso il volto dell’amore: gli occhi di Silvia erano “ridenti e fuggitivi”, perché agguantano la felicità che potrà dileguarsi. E sarà così: scapperà via.
La morte verrà prematura; “tenerella” non “vedevi il fiore degli anni tuoi”.
Non le permetterà di “ragionar d’amore ”con le sue coetanee, di avvertire “gli sguardi innamorati e schivi”, di sentir “le lodi per le negre chiome”.
Nel suo volto “splendea la beltà ”che fa distrarre il Poeta.
Quando sente nella profondità del suo cuore il canto di Silvia, il Poeta

Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

(Leopardi – A Silvia)

Silvia perciò è nella bellezza della natura, come l’azzurro del cielo terso, come le vie ove si sparge e diffonde la luce del sole, come il mare ed i monti lontani.
In questa lirica i tormentati desideri della giovinezza si trasformano in melodia; ogni ornamento superfluo, nel sentimento e nella forma, è stato abolito; le parole del comune discorso hanno acquistato una nuova, incorporea fragranza, scrisse Walter Binni.
Il sole – ci ricorda Citati- colma ogni fibra della poesia: una delle rarissime volte in cui il suo splendore sostituisce, in Leopardi, la grazia riflessa della luna.
Silvia è un’epifania luminosa; come nel Paradiso di Dante Beatrice: ”lo splendor de li occhi suoi ridenti”.
Lei spera nel “vago avvenir”, ma le toccherà il destino di una morte precoce, come al Poeta “la consapevolezza, “l’apparir del vero”.
Ma a Silvia ed al Poeta “molceva” si addolciva il core: pensavano all’amore fuggitivo.

( La foto ritrae la scrivania di Leopardi nella sua biblioteca: per sontuosa concessione del caro amico Davide Pugnana).

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