Letteratura
Si poteva lavorare per Berlusconi senza votare per lui?
Era possibile lavorare per Berlusconi, senza votare per lui?
Difficile crederlo.
Eppure è accaduto.
E’ capitato a Luigi Crespi, autore di una autobiografia che si legge come un romanzo, “Lo spin doctor – Memorie delle mie sette vite più una”
Luigi è comunista.
Da ragazzino, a soli quattordici anni, subisce addirittura la fascinazione del terrorismo. Pensa che “il sistema va cambiato, va distrutto e ricostruito dalle fondamenta”.
Ad un certo punto cerca anche di farsi arruolare in Prima Linea.
“Sei grande e grosso, sei un compagno determinato, però sei troppo piccolo per entrare in clandestinità”, si sente dire. Lui protesta: “Ho già quattordici anni!”.
“Troppo pochi per darti una pistola, per adesso puoi fare il servizio d’ordine!”
Poi un brutto giorno Crespi assiste ad un episodio che cambia la sua visione delle cose: durante una manifestazione vede cadere un uomo, un agente della Celere, Antonio Custrà: verrà a sapere poco dopo che è morto in ospedale e che sua moglie era incinta.
Per la “rottura sentimentale definitiva” (così si esprime Crespi) ci vorranno i fatti tragici legati al sequestro Moro: il giorno successivo alla chiusura di quella vicenda, Crespi va alla federazione del Pci e si scrive alla Figc.
Molti anni dopo Crespi è diventato un esperto di comunicazione e di sondaggi. Rimane un uomo di sinistra, ma quando Berlusconi, su suggerimento di alcune delle persone del suo entourage, lo chiama per farlo diventare il suo spin doctor, lui vede in quell’offerta una sfida professionale formidabile, un’occasione da non perdere,
E’ un uomo ambizioso e ce la mette tutta.
Far vincere alle elezioni Berlusconi, per lui che ha un pensiero politico diametralmente opposto, vuol dire vincere a sua volta.
Tra i due si instaura un rapporto singolare. Silvio gli dà del tu e ogni tanto, quando perde la pazienza, lo “insulta” chiamandolo comunista. Crespi gli dà del lei, ma si esprime sempre con grande franchezza.
Ecco un passaggio significativo del libro che tratteggia bene il rapporto che si instaura tra i due:
“Senta, ma perchè candida ‘sta gente? Non le porta un voto”.
La mia intemerata sulle candidature sta creando il panico attorno al tavolo. Sguardi attoniti degli astanti, sguardo torvo di Berlusconi.
“Le fanno dei favori, almeno? Perché lì almeno capirei. Se no si tratta di autosabotaggio!”
Sono furibondo. Sono stato zitto troppo a lungo su questa compagine di avanzi di umanità che lui si ostina a chiamare squadra.
(…)Lui lo sa, ha capito che se lo attacco, non è per umiliarlo, o per dimostrare chissà quale superiorità, ma perché il mio modo di portargli valore è dirgli la verità. Non interroga quasi mai nessuno, a quel tavolo, ma spesso si volta verso di me: “Tu cosa dici?”
La sfida più difficile è quella delle elezioni politiche del 2001.
Berlusconi che ha già vinto nel 1994, restando però in carica per appena otto mesi, sente che è arrivato il momento della sua rivincita. L’avversario è temibile, il rischio di uscirne con le ossa rotte altissimo.
Scrive Crespi:
“Rutelli è giovane, fresco, convincente. Ha dietro di sé una storia di successo.[…] Me lo sogno di notte, è il mio incubo, per un motivo tra tutti: io voterei per lui, mi piace moltissimo. E’ un Berlusconi speculare all’originale, efficace e dinamico, ma di sinistra.”
Rutelli non solo è un avversario duro da battere, ma ha anche dalla sua come consulente d’immagine Stanley Bernard Greenberg, lo spin doctor americano che ha portato alla vittoria Bill Clinton. Crespi, al suo confronto, si sente l’ultimo arrivato.
“In certe sere, con il peso della giornata sulle spalle, mi chiedo come sia potuto succedere che l’americano rampante sia finito a lavorare per il candidato di centrosinistra, e io, il comunista, per Berlusconi.”
Fino al giorno del voto domina l’incertezza, alcuni sondaggi danno il Cavaliere sotto di tre punti.
Poi arriva il colpo da maestri.
Rutelli ha un programma articolato e complesso, che sicuramente la gran parte degli elettori si rifiuterà di leggere. Perché non provare a contrapporre a quel programma qualcosa di più semplice ed al tempo stesso più incisivo? Nasce così l’idea del “contratto”.
“L’ho fatto preparare da un notaio, su carta bollata vera. E l’ho portato a Berlusconi. Dieci punti chiari, incisivi, perfetti. Quando ha sollevato gli occhi dal foglio ha commentato : “Sei un comunista di merda. Tu vuoi la mia morte. Però l’idea è buona.”
Il giorno dopo è tornato con un contratto in cinque punti. Tasse, poliziotto di quartiere… stavolta sono io ad alzare gli occhi dal foglio: “Ok, era meglio il mio, ma vinciamo anche con questo.”
Come sia finita quella sfida lo ricordiamo tutti.
Devi fare login per commentare
Accedi