Letteratura
Se Venezia muore (un libro di Salvatore Settis)
Come sa chi vive a Venezia, la situazione di ipersfruttamento turistico della città ha raggiunto ormai preoccupanti livelli di guardia.
Vogliamo fare un paio di conti?
Ci aiuta il recente libro di Salvatore Settis “Se Venezia muore“, che riporta la seguente tabella sul numero dei residenti nel centro storico di Venezia:
Fa notare Settis , commentando questa tabella, che una volta sola negli ultimi sei secoli Venezia ha conosciuto un ridimensionamento della sua popolazione comparabile a quello di che ha subito negli ultimi decenni: e fu per la peste del 1630, dopo la quale ci volle più di un secolo a tornare al livello di prima.
“Chi e’ dunque il popolo di Venezia?
Quale mai è la peste che lo va sterminando?
Mentre la città si svuota calano su di essa i ricchi e famosi, pronti a comperare a costo altissimo una casa -status symbol da usare 5 giorni l’anno.
Questo travaso di popolazione stravolge il mercato, creando un sistema di prezzi che espelle i veneziani dalla loro città e ne fa la capitale degli ectoplasmi della seconda casa, che si materializzano con grande pompa e mondanità, poi spariscono nel nulla per mesi.
Aggiunge Settis che le presenze turistiche sono ormai passate dai 10 milioni degli anni 70 ai 34 milioni di adesso,
In altri termini per ogni persona che vive stabilmente a Venezia ci sono più di 600 visitatori “volatili”.
La media dei visitatori giornalieri corrisponde, in pratica, agli abitanti della città.
Ovviamente stiamo parlando di una media, il che vuol dire che ci sono giorni dell’anno in cui i turisti sono addirittura il doppio o il triplo dei residenti.
E stiamo parlando di turisti che si distribuiscono in maniera irregolare e non omogenea nella città, con il risultato che ci sono alcune zone, quelle vicine al Ponte di Rialto o a Piazza S. Marco che sono perennemente intasate.
Demografia ed economia della città sono ovviamente devastate dal fenomeno.
Si afferma quella che Settis definisce “la monocultura del turismo”
“Di null’altro sembra più capace Venezia che di generare bed & breakfast, ristoranti, alberghi, agenzie immobiliari, vendere prodotti “tipici”( dai vetri alle maschere) allestire carnevali fasulli e darsi, malinconico belletto, un ‘aria di perfetta festa paesana.
Rimuovendo dalla coscienza la peste che affligge, decimandolo, il tessuto sociale della città, la sua coesione e la sua cultura civile.”
Tutto vero, non c’è alcuna drammatizzazione dell’esistente in questa descrizione, nessuna coloritura retorica.
Le cose stanno come dice Settis. Chi vive a Venezia lo sa.
Aggiungo anche che, ogni volta che si va a votare per un nuovo sindaco, gli elettori del posto si chiedono quale sia l’approccio dei vari candidati al tema dell’identità della città.
Chiunque si candidi, in campagna elettorale, fa, ovviamente, grandi affermazioni di principio, si lascia andare a proclami, afferma la necessità di invertire la tendenza, di avviare il ripopolamento.
Puntualmente, lo ha fatto anche l’ultimo sindaco, il cui programma prevedeva di “far tornare le giovani famiglie nel centro storico e nelle isole attivando politiche di incentivazione all’arrivo di aziende e di posti di lavoro” oltre a tutta una serie di azioni mirate a rendere più funzionale a attrattiva la città per chi vi risiede.
Inutile dire che di quelle azioni si è visto poco o niente.
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