Letteratura

Se la cultura abbandona l’archetipo per lo stereotipo

18 Dicembre 2020

C’è una parola, che, ora più che mai, dovrebbe essere di moda. Essa è “archetipo”. Il suo significato sarà ben conosciuto, ma un veloce e leggerissimo ripasso forse sarà ben gradito: il termine è antichissimo e deriva, come tutti sapranno, dal greco. La parola è composta da “arché”, che significa “originale” (anche se resta preferibile il significato di “inizio”, o “principio”) e “tipos”, con il quale ci si riferisce a “modello”, “marchio”, “esemplare”. Pur essendo molteplici i contesti d’uso, il suo sostanziale significato simbolico, o letterale, resta lo stesso. La parola “archetipo” viene utilizzata per indicare qualcosa che è preesistente a una realtà attuale. Nello specifico, “l’archetipo letterario” è un antico modello identitario della personalità, che prende origine sin dai tempi più remoti dell’umanità. Pertanto, gli archetipi sono presenti in ogni cultura, tempo e luogo, sia nella storia reale che nei miti e nelle leggende popolari. Lo psicoterapeuta svizzero Carl Gustav Jung li fa derivare dall’inconscio collettivo da lui teorizzato. Mentre, lo psicanalista e filosofo James Hillman li definisce come “i modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo.”

Superata la fase della spensierata premessa, necessaria se si considera la complessità concettuale e l’interesse scientifico che ruota intorno a una tale parola e al suo articolato significato, vengo al punto cruciale del pampflet, senza ricorrere a fronzoli di sorta ed evitando i nastrini ornamentali del buonismo natalizio. Vi è che la società contemporanea, nella sua fase di neo-oscurantismo, abbandona e disconosce l’archetipo a favore dello “stereotipo”. Cos’è lo stereotipo? Senza adottare citazioni a tema, o ricorrere a indagini accreditate, si afferma, qui, senza la minima incertezza, che lo stereotipo rappresenta una miserabile visione comune della realtà, dettata da superficiali pregiudizi e squallidi preconcetti. Si dice di una cosa o una persona che rappresenta, in tutta la sua piccineria, un luogo comune o una sconveniente immagine collettiva.

Voilà, dames e messieurs: l’archetipo, colto, istintivo, primordiale, fa posto allo stereotipo zotico, scontato, dozzinale! Il passato, dunque, visto come un tempo morto, o peggio ancora, mai esistito, per giustificare meglio e affermare un presente che non reggerebbe il confronto con nessuna delle epoche della storia. Tra i campioni delle nuove classi dirigenti del nostro bel paese di cacca c’è addirittura chi vorrebbe bandire dalle scuole lo studio del latino e del greco, considerate, appunto “lingue morte” e in disuso da chi fa un pessimo uso della ragione e ha un’anima morta, senza, tuttavia, saperlo. Viviamo un tempo minimo, di tanti zeri che si danno un’importanza esponenziale, rimanendo sempre e comunque nei margini filosofici dello zero assoluto. Un’epoca di autoreferenzialità, dove l’autoassoluzione e l’autopromozione di sé stessi sono una pratica di comunicazione preferenziale. Che tempacci, mio Dio! Nemmeno una saetta rombante che svegli dal sonno chi è deputato a pensare e a scrivere; neanche un fulmine catartico che si abbatta sugli edifici dell’ignoranza in cattedra e della grettezza di comando. Manichini ovunque, taciturni di palazzo che urlano a gettone in tv, servette settecentesche che fanno la voce grossa. Quanta pezzenteria intellettuale!

E, in tutta questa schifezza tirata a lucido, in un frangente tra l’altro delicato, come quello relativo a una pandemia, non c’è una voce che racconti una storia diversa, scritta col linguaggio universale, quello di sempre, quello degli antichi padri e delle future generazioni. Una storia che valga la pena di leggere, per scoprirci eroi, nel bene e nel male, giammai mediocri entità pensanti e scriventi, desiderose di rinnovare il piumaggio da ballerine di quarta fila per poter meglio figurare in proscenio. Ci vorrebbe che l’archetipo dell’eroe, tra i più sintomatici, diventasse, come per incanto, eredità culturale di un intero popolo. Solo così, potremmo esprimere pienamente la capacità di affrontare la realtà con padronanza e riconoscenza, avendo consapevolezza delle difficoltà e delle sofferenze, e vincerle con i mezzi della volontà e dell’intelligenza. Superare ciò che oggi appare insormontabile si può. A patto che subentri una nuova energia mentale, fuori dagli schemi, dall’ovvietà, dallo stereotipo.

 

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