Costume
Se «Il Treccani» dice che siamo banali, ma il primo banalone è lui
In questi giorni circola uno spot che ci riguarda. Pubblicizza «Il Treccani», il cugino vocabolario della più nota enciclopedia. Il fine ultimo sarebbe quello ovviamente di spingerci sino alla più vicina libreria per comprarlo, ma il penultimo, il fine più pedagogico, intenderebbe aprirci la mente alle «250mila parole» di cui si compone la nostra lingua. «Usiamole!» è l’esortazione conclusiva dello spot. Ma certo, caro il mio Treccani. Siamo qui apposta.
Per sostenere l’impresa, gli illuminati di Treccani hanno deciso di giocare su una evidente contraddizione. A fronte, infatti, di una sterminata prateria lessicale, che si sviluppa peraltro su cinque volumoni da libreria (uno non bastava e allora il povero Devoto-Oli dovrebbe ammazzarsi?), la ragazza protagonista dei trenta secondi promozionali viene ripresa in cinque situazione tipo: a) stordimento da fico pazzesco che transita con canotta sudata e bicipiti apprezzabili; b) signore anziano sul bus (con signora) che per motivi misteriosi si alza per farla sedere, lei che avrà sì e no una venticinquina d’anni; c) simpatico cagnetto che tiene in braccio; d) infine paesino illuminato abbarbicato sulla montagna di cui la fanciulla gode il panorama. A tutte queste sollecitazioni, evidentemente diverse tra loro, la nostra ragazza risponde sempre con un unico aggettivo: #CARINO. Lo declina con toni diversi, qui più sfumato là più convinto, ma quello è.
La seconda parte dello spot è la ricerca di una consapevolezza. Consapevolezza che potremmo fare di più e di meglio. Molto di meglio. Cercando, sfogliando, tra le 249.999 parole rimaste e trovarne una acconcia alla situazione che stiamo vivendo. Per la serie: «Diamo un nome alle cose». Ecco quindi che, come per magia, la stessa ragazzuola ruota verso di noi (clienti/utenti) e ancora con un occhio al paesello abbarbicato sforna gli aggettivi che secondo gli illuminati della Treccani comporrebbero la nostra nuova fioritura lessicale: “Magnifico”, “Emozionante”, “Sconvolgente”, “Eccezionale”, “Splendido”, “Grandioso”, “Fantastico” e infine “Bellissimo”. Per chiudere poi con una voce fuori campo e l’incitazione di cui sopra: «Usiamole!».
Prima di ogni altra considerazione, c’è un particolare che desta perplessità ma che evidentemente non è passato per la mente dei “Treccanisti”: perchè per definire l’aridità lessicale degli italiani si è scelta una ragazza? Anche solo per la profondità femminile, riesce difficile pensare che la limitatezza “culturale” sia patrimonio delle donne. Una più prudente alternanza di genere sarebbe stata consigliabile, con centinaia di uomini come splendidi testimonial di una crassa ignoranza.
E ora veniamo al punto. Ai punti. Tre esempi su cinque (figo, cane e cinemino così così) si potevano tranquillamente chiosare con #CARINO e a nessuno sarebbe saltato in mente di alzare il dito per il limitato raggio d’azione della ragazza. Ma soprattutto: se la contrapposizione è tra la banalità del “carino” e la presunta originalità di parole come meraviglioso, splendido, emozionante, fantastico, bellissimo, beh allora, cari Treccanisti, qui è opportuno rivedere il concetto di apertura mentale perchè quegli estremi sono esattamente due facce di una stessa medaglia, la medaglia del luogocomunismo, della via più facile al linguaggio, un ridotto di sensazionalismo di pronta beva, ma niente a che vedere con la meraviglia di un dizionario che ti aspetta con le sue grandi braccia per divertirti con lui. E c’è forse un’altra questione che andrà almeno dibattuta: siete così sicuri che persone che per una serie di motivi non hanno accesso a un linguaggio più largo, abbiano nel loro animo una quantità inferiore di sentimento, di emozione da provare, un carico meno generoso di opportunità interiori?
Uno spot di 31 secondi netti è come camminare sul filo. Affascinante ma pericoloso. Tutti siamo lì sotto col fiato sospeso, gli occhi verso il cielo, le braccia pronte a tendersi per salvare l’equilibrista. Basta una parola sbagliata e…
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