Letteratura
Se il professore siede al banco della vita accanto ai suoi studenti
Avere la fortuna di incontrare insegnanti che oltre ad istruire, riescano ad educare e formare il carattere dei propri allievi, accompagnandoli ad affrontare l’imprevedibile viaggio di diventare adulti, è una rarità. Abbiamo intervistato il Professore Ermes De Mauro che ha insegnato per quarant’anni lettere classiche a centinaia di studenti che conservano ,di lui, un ricordo indelebile
Mesagne (Br)- Quando entriamo nello studio del Professore Ermes De Mauro, un monumento dell’insegnamento liceale ed accademico di lingua e letteratura italiana, latina e greca, in tutta la provincia di Brindisi ed oltre, veniamo rapiti da un corredo di innumerevoli foto che incorniciano le pareti, sotto cui, riposti tra massicci scaffali di legno laccato, giacciono cumuli di libri dal valore inestimabile, celebrativi oltre che delle lettere classiche, anche di storia, filosofia, politica, musica e cinema.
Come a dire che, il Professore De Mauro, ci abbia invitato nella sua dimensione più sacra ed intima, dove trascorre la maggior parte delle sue giornate, dopo quasi mezzo secolo di insegnamento. Si resta allibiti che alla veneranda età di 86 anni, riesca con una facilità disarmante a tradurre all’impronta qualsiasi testo di greco e latino, senza l’utilizzo di uno dei suoi preziosissimi vocabolari, dei quali si circonda da sempre, quando riceve i suoi studenti in cerca di una guida che li faccia appassionare a quell’agire così incerto chiamato istruzione, a cui la scuola è deputata.
Ermes De Mauro, due lauree conseguite rispettivamente in lettere classiche e sociologia, rappresenta uno dei più profondi estimatori e conoscitori della produzione di Dante Alighieri, in particolar modo della “Commedia”, uno dei capisaldi del suo insegnamento, con cui riesce a far innamorare i ragazzi, grazie a lectio magistralis impeccabili, da tutto esaurito. Ci ritroviamo ad interloquire con un insegnante che, negli occhi, ben evidenti, sotto le lenti da vista, riflette una luce molto forte e particolare. Luce che può essere accostata, ad una rara, nobiltà d’animo, retta e sorretta da una mente straordinariamente aperta, curiosa, ed intensamente pungente. Eppure unica, nel saper risaltare i pregi e le virtù di chi gli siede di fronte, o meglio, accanto.
Negli anni del suo insegnamento presso il liceo classico Benedetto Marzolla di Brindisi, un numero imprecisato di studenti, ha avuto la fortuna di essere condotto per mano dal Professore De Mauro, attraverso una vicinanza formativa e spirituale, che ha gettato le fondamenta per quello che rappresenta il suo precetto più grande, spogliato da qualunque intento paternalistico: la coerenza con sé stessi, la fedeltà alla propria onestà intellettuale ed, ovviamente, al rispetto del sentire altrui. Un docente, in grado di assurgere con innata naturalezza, al ruolo di confidente dei suoi ragazzi, oggi uomini e donne più che adulti. Successo ottenuto per via della sua estrema semplicità ed incapacità di emettere giudizi che umilino la sensibilità dei giovani in divenire, tra passi barcollanti ed andature più decise. Ergendo l’insegnamento a ragione di vita vera e propria.
“Molti dei suoi studenti hanno continuato e continuano ad intrattenere con il Professore, un rapporto assiduo, coltivandolo con affetto e partecipazione sincere nelle varie parabole discendenti che attraversa la nostra quotidianità e non lesinando mai sorrisi autentici, spontanei, che risiedono in fondo al cuore. Rivedersi per un caffè, telefonarsi per sapere come vanno le cose, rinsaldando un bene rimasto intatto, anche dopo i fisiologici scontri a muso duro, tipici dei rapporti veri ed immodificabilmente duraturi. Basati su intese mentali e prima ancora spirituali. Capita spesso che, quei cinque minuti per scambiarsi un saluto, divengano ore ad ascoltarlo recitare Dante, Foscolo, Manzoni, Leopardi, con l’ammirazione di sempre e, con la stessa ed intensa partecipazione emotiva, ritrovarlo a narrare le gesta private e poco conosciute di Giuseppe Verdi, per balzare alla fine dolorosa del Partito Comunista, fino alle piaghe sociali odierne, alimentate da ignoranza e presunzione. I saluti, da ultimo, giungono scambiandosi pillole di paesana ironia, culminate sempre in risate fragorose“, ci ha raccontato una sua ex allieva che continua così: ” Negli anni della mia adolescenza ed oggi, nella età adulta, ho avuto ed ho l’onore di avere accanto prima che l’insigne accademico, l’uomo, l’amico, il padre anticonformista, libero interiormente ed integerrimo nel serbare sentimenti alti, onesti, affermati in ogni sede, sia scolastica che personale. La sua preparazione, il suo modo diverso dalla massa di far apprendere qualcosa senza imporre con gelida alterigia una distanza enorme in termini di autorità. Trasmettendo un messaggio di autorevolezza morale piena. Autorevolezza che precede qualsiasi iniziativa culturale e sociale a cui prenda parte, donando lustro ed emozioni difficilmente paragonabili a convenzionali, quanto sterili, commenti di critica letteraria“.
Professore De Mauro, lei è il primo di quattro figli, suo padre grade umanista e Sindaco di Mesagne, sua madre insegnante. Nascere in una famiglia di letterati, quanto ha contribuito nella scelta degli studi universitari?
“I miei genitori con il loro esempio e le loro passioni letterarie, hanno inciso in maniera preponderante sui miei percorsi di studi. Pensi che in casa mia, dalla colazione fino alla cena, noi figli abbiamo avuto sempre la grande fortuna di ascoltare mio padre e mia madre che discutevano beatamente di letteratura non solo italiana, ma anche greca e latina, ed inoltre, ci facevano ascoltare giornalmente tutte le grandi opere classiche. Motivo per cui, oggi continuo ad esserne conoscitore e patito irriducibile“.
Con quali autori classici, ha instaurato nel tempo, una sorta di rapporto confidenziale, diremmo quasi di “elevazione spirituale”, oltre che di nutrimento intellettuale?
“Ve ne sono stati diversi. Cominciamo dal latino. In primis, Virgilio per quanto concerne la poesia e Properzio che, oggi purtroppo, a scuola non viene più trattato. Versi meravigliosi, eleganti, gentili che conducevano i ragazzi a cui ne leggevo qualche passo, ad immaginare di essere davvero nei campi fioriti, dove il poeta latino, raccoglieva piccoli presenti per Cinzia, la fanciulla amata. Sono autori meravigliosi. Per la prosa latina, sicuramente, Cicerone, che cattura con il suo eloquio, la concinnitas e le sequenze con cui scandisce i suoi scritti, per la struttura perfetta del periodare. Come uomo, invece, non ho mai nutrito stima per Cicerone, che peccava in modo imperdonabile per le conseguenze, di faziosità politica, pericolosa e crudele. Risulta superfluo celebrare lo stile ciceroniano che costituisce spartiti di musicalità indicibilmente bella. Se devo citare autori di prosa latina, dei quali ammiravo le virtù morali, direi Sallustio e Livio. Quest’ultimo oltre ad essere uno storico ineguagliabile, era anche un poeta di altissimo rango. E ancora, Seneca e Tacito e Orazio. La vita di Orazio, mi ha appassionato molto, perché il padre, che era un liberto affrancato, contrasse debiti pur di mandare a studiare in Grecia il figlio che prometteva. Ed in Grecia, che come sappiamo, è venuta prima di Roma, Orazio, imparò la metrica che oggi possiamo contemplare, cioè la musica dei versi greci e latini.
Per la letteratura greca, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Dai poeti lirici come Ipponatte, Archiloco, Saffo e altri. Poi i tragici, Eschilo, Sofocle, Euripide. A me dispiace quando molti genitori, decidono di non far frequentare il liceo classico ai propri figli per lo spauracchio del greco. Al contrario di quanto si creda comunemente, il greco non è la lingua classica più complessa. Un vero peccato, non dare la possibilità ai ragazzi di formare la propria mente, unendo la razionalità della lingua latina con la creatività tipica di quella greca. Un modo di ragionare che li accompagna, poi, per tutta la vita. Statistiche autorevoli, dimostrano come i migliori ingegneri e architetti per esempio, abbiano conseguito il diploma di liceo classico, pur laureandosi in materie scientifiche. La fantasia del mondo greco fa sognare il lettore. Se uno prende il libro di Roberto Calasso, “Le nozze di Cadmo e Armonìa, non va a letto se non ne termina la lettura, tanto rimane affascinato. Tutti riflessi di splendore che è stato riprodotto nelle commedie. Quella di Menandro, non è come quella di Plauto. Nel mondo greco, tutto è possibile. Dal livello più basso, si balza al sublime. Un parallelismo con la Commedia Dantesca“.
E autori della letteratura italiana?
“Le mie preferenze, come accade per tutti, mi hanno evidenziato molte affinità spirituali con Giacomo Leopardi, non solo per quanto ha scritto, ma anche per la incomprensione indescrivibile che ha patito, per la dolcezza che ha conservato. E ancora, Carducci, che oggi, con grande dolore noto venga quasi snobbato totalmente dai programmi scolastici. Mi chiedo, per quale motivo si mandino i figli a scuola? Credo, per formare l’edificio del cittadino di domani. Ed allora quale migliore esempio umano e di integrità morale, di Giosuè Carducci, il quale ha improntato mezzo secolo di letteratura italiana. Ordinario di lingua e letteratura italiana ed eloquenza, all’Università di Bologna, ha formato i migliori professori universitari che si sono succeduti, come Severino Ferrari, Giovanni Pascoli, aiutandoli come uomini ad affermarsi nella loro autorevolezza. Appunto, Pascoli, bistrattato come poeta italiano e quasi sconosciuto e misconosciuto come poeta latino. Uno dei più grandi in assoluto. I carmi di Pascoli, come “Tallusa”, sono una delizia per l’anima. Un esametro, quello pascoliano, che non ha niente da invidiare in termini di perfezione, all’esametro virgiliano, con i versi ipermetri. Giovanni Pascoli, non può essere ridotto solo alla poetica del fanciullino, ma regala uno sguardo puro in ogni cosa che osserva, conferendogli musicalità e candore. Non è solo un autore decadente, quanto completo di tanto altro. Provate a leggere “L’Uragano”, in cui paragona l’uomo alle onde”.
Lei è uno dei conoscitori ed estimatori più documentati dell’opera dantesca. Quali sono gli aspetti universali della produzione letteraria di Dante Alighieri, che la rendono indimenticabile?
“Basterebbe studiare la vita di Dante, per formarsi. Si capirebbe che ci sono state persone che hanno sofferto per raggiungere una posizione culturale e sociale degna di essere vissuta. Ogni volta che ho spiegato questo ai ragazzi, ho incontrato il loro interesse. L’esilio di Dante, non è stato l’esilio dorato di Cicerone a cui venivano offerte le migliori triglie della Tessaglia e tanto divertimento. Dante ha sofferto, ha lasciato la moglie e figli per amore della giustizia. La Divina Commedia, oggi, viene massacrata. Molti studiosi, dicono che l’Inferno è la cantica più bella. Ma è una sciocchezza colossale. Riuscite ad immaginare un Dante Alighieri che scrive un’opera meno bella della precedente? L’inferno è stupefacente per le dosi massicce di pietas che l’autore dispensa ai vari personaggi che incontra, nella loro disperazione di essere lontani da Dio. Quando incontra Francesca da Rimini, nel V canto, i versi toccano un tono erotico, sconquassante, capace di far provare il vero coinvolgimento spirituale, che non è una giustificazione del tradimento, ma è una pietas per un amore proibito a cui non ci si è saputi sottrarre. Oggi la Commedia si studia in modo obbligato ed approssimativo. Ai ragazzi, per mancanza di tempo, si omette l’immensità del Paradiso, con la sua magnificenza, con la sua sinfonia di grazia. Il volo che Dante spicca verso i cieli, dove lo accompagnerà Beatrice con la fanciulla Matelda, che immergerà Alighieri nel fiume in cui purificarsi per incamminarsi verso il punto in cui si contempla la luce del Sole, dimenticando le tenebre. Gli ammonimenti severi che sferra verso la Chiesa corrotta, pur essendo cattolico, pieni di coraggio e fermezza. Questa è un’opera che rappresenta un allenamento salvifico per raggiungere consapevolezza di cosa sia la nostra fragile esperienza nel mondo, e cosa rimanga delle nostre azioni, una volta che lo abbiamo lasciato. E poi, la passione politica indefessa che emerge in modo nitido e non corruttibile. Ma, riassumere Dante, corrisponde a fargli un torto, c’è troppo da dire e con un tempo a disposizione irrisorio al cospetto della mole di pagine da commentare”.
Che cosa pensa delle sorti malferme della scuola di oggi? Come si potrebbe recuperare il rapporto con i ragazzi che non riescono a scorgere alcun futuro incoraggiante in fondo al tunnel dell’incertezza?
“Parto dalla mia esperienza di insegnante e di quella dei colleghi con cui ho lavorato. Non credo che abbiamo fatto nulla di eroico. Semplicemente, ci siamo limitati ad amare i nostri studenti, come figli. Tutto il resto è venuto in modo naturale. Che significa amare i ragazzi? Significa conoscerli, rendersi conto della loro diversità e custodirla. Non è possibile insegnare, curandosi solo degli aspetti burocratici, ma è necessario guardare negli occhi gli alunni, accogliendone l’unicità. Io come atto irrinunciabile, il primo giorno di scuola, ero solito far circolare tra i banchi, un foglio dove i ragazzi apponevano i loro nomi, corredati da indirizzo e numero di telefono. Questi riferimenti mi erano utili per intavolare una relazione più vicina con le loro famiglie, e non certo per controllarli. Così da sincerarmi se eventuali assenze reiterate fossero dovute a problemi particolari, o se ci fossero ostacoli incontrati dai ragazzi nelle ore di insegnamento. E loro, accettavano convintamente. Non ho mai utilizzato toni punitivi, o umilianti della sensibilità dei miei studenti, ho cercato di azzerare le distanze che non fanno altro che generare disagio e ansie insensate. Ho sempre riscosso il massimo rispetto quando, tra i banchi, ci sono sceso per davvero, sedendo accanto a loro, o conversandoci durante la ricreazione, costruendo fiducia e affetto”.
Dopo una vita trascorsa accanto ai suoi ragazzi, del Professore Ermes De Mauro, è possibile osservare ancora immagini , forse più morbide, che lo ritraggono pensieroso, corrucciato, un po’affannato e subito dopo irresistibilmente immerso nelle sue sudate carte, capaci di cancellare con un colpo di spugna tutte le amarezze e le preoccupazioni esistenziali, che procedono secondo percorsi non programmabili per nessuno, nutrite dalla passione viscerale per le lettere, faro capace di dettare la rotta dell’interiorità, traendo esempio dai grandi del passato.
Qualche tempo addietro, il Professore, pubblicò un manoscritto “Caro Don Bibi”, in memoria del dottore Annibale Cavaliere, un medico mesagnese. Mai come in quelle pagine, salta agli occhi la penna generosa che tratteggia la fisionomia e l’anima di chi ha conosciuto, stimato e avuto, a sua volta, accanto, unito da affetto inossidabile.
In quel “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia“, espressione usata paternamente da Don Bibi ,per congedarsi dal giovane Ermes, tratta dal Paradiso Dantesco, è racchiusa tutta l’eredità spirituale colma di valori e sentimenti tesi alla vera rivoluzione, quella capace di andare oltre le miserie umane, e non semplicemente avanti. La vita si può cantare in tanti modi, il Prof. Ermes De Mauro, ha fatto suo quello più singolare, discreto e potente che esista, per lasciare traccia nel cuore degli altri: di ogni persona incontrata sul suo cammino, ha salvato il meglio, sopportando e soprassedendo al male che ciascuno di noi possiede per natura. E non ha mai smesso di sedere accanto ai suoi studenti, non dietro alla cattedra, bensì al banco della vita. Probabilmente il segreto sta nell’aver conservato (nutrendolo di bellezza letteraria) un cuore puro, capace di assorbire essenza e non apparenza.
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