Letteratura
Se domani ti arrivano dei fiori, il nuovo libro di Alida Airaghi
Se domani ti arrivano dei fiori sbagli se pensi a me (io sbaglio se penso che il tuo pensiero a me si possa volgere, come il volto tuo serrato con mani troppo docili a carpire quando sulle tue labbra m’era dato baci dalla città) non so che fiori siano: te li ha mandati per amore d’amore uno incontrato in trattoria dove le mie parole spesso s’urtano con la gente di faccia.
Sono i primi versi di una poesia di Elio Pagliarani, poeta, scrittore, critico teatrale, uno dei padri della neoavanguardia. E Se domani ti arrivano dei fiori, è anche il titolo del nuovo libro di Alida Airaghi. Si tratta di un racconto di cinquanta cartelle in cui si confrontano due coniugi quarantenni in procinto di separarsi. Rievocano, commuovendosi o accusandosi vicendevolmente, vari episodi della loro vita di coppia, dal primo incontro all’inevitabile decisione di divorziare. Ogni intervento, differenziato tipograficamente (tondo lui corsivo lei), occupa venti-trenta righe per pagina, rimanendo circoscritto in un ambito esclusivamente privato, di quotidianità comune a molte coppie.
Alida Airaghi è nata a Verona nel 1953 e risiede a Garda. Dopo la laurea in lettere classiche a Milano, è vissuta e ha insegnato a Zurigo per il Ministero Affari Esteri dal 1978 al 1992. Collabora a diverse riviste, quotidiani e blog italiani e svizzeri. Scrive anche per Gli Stati Generali. Tra le sue pubblicazioni di poesia: L’appartamento, in Nuovi Poeti Italiani, 3 (Einaudi 1984), Rosa rosse rosa (Bertani 1986), Il peso del giorno (La Luna – Grafiche Fioroni 2000), Litania periferica (Manni 2000), Un diverso lontano (Manni 2003), Frontiere del tempo (Manni 2006), Il silenzio e le voci (Nomos 2011), Nuovi Poeti Italiani, 6 (Einaudi 2012), Elegie del risveglio (Sigismundus 2016), Omaggi (Einaudi 2017), L’attesa (Marco Saya 2018), Rime e varianti per i miei musicanti (Marco Saya 2020). Inoltre, presso le edizioni Lietocolle, sono uscite le plaquette: Il lago (1996), Sul pontile, nell’acqua (1997), Litania periferica (1998), Le mura di Verona (1998). In prosa ha pubblicato: Appuntamento con una mosca (Stamperia dell’Arancio 1991), Fine dicembre (Le Onde 2010), Qualcosa del genere (Italic Pequod 2018) e il romanzo breve In cornice (Ensemble Edizioni 2019).
Pubblichiamo un estratto di Se domani ti arrivano dei fiori, (i primi quattro paragrafi) per gentile concessione dell’autrice.
SE DOMANI TI ARRIVANO DEI FIORI
Se domani ti arrivano dei fiori, sappi che non li ho mandati io. Perché avrei dovuto? Per chiederti o concederti perdono, suppongo che tu pretenda. No, cara. Carezza, ti chiamavo quando ti vedevo carina. Fiori cosa e come, di quale banalpresumibile colore. Bianco innocenza, rosso passione, giallo gelosia. Ti piacevano i tulipani screziati, memoria di un antico viaggio a Istanbul con chissà che faceto fidanzato. Tulipani turchi, non gli ovvi olandesi. Sempre stata originale, tu, anche nei flashback rievocati, più fantasiosi che reali. I primi fiori regalati al nostro secondo appuntamento (imbarazzo! non sapevo con quali gesti e parole accompagnarli, mentre ti avvicinavo spiandoti aggrottata per i miei minimi minuti di ritardo) erano invece pallidi, dolentemente mesti. Non proprio crisantemi, ma quasi. Forse già intuivo quale piega avrebbe preso il nostro rapporto. Mi hai detto, ironica, signorilmente divertita addirittura: “Che gioia!” Te li offrivo esitante, accorgendomi tardivo del loro aspetto cinereo; le corolle incurvate, grondanti acqua. Pioveva.
NON LI ASPETTAVO
Non li aspettavo, non li volevo. Oppure: sì, ci speravo. Avevo preparato sul tavolo della sala un vaso vuoto. Quello cilindrico, di vetro. Allora dicevi che ti sembrava un alambicco ospedaliero. È ancora lì, inutile, deluso, convalescente. Non sono arrivati fiori, e nemmeno un biglietto di scuse. Neanche una telefonata: il giusto che mi dovevi. Piove. Tuttavia, anche se ci fosse il sole, non credo che me ne accorgerei, buia dentro quale sono. Rabbiosa rancorosa rognosa. Non è il fuori che si rispecchia in noi, illuminandoci-scurandoci, come si sente dire svagatamente. Siamo noi che rovesciamo brutto e bello nostro su cielo e terra altrui. Noi, minuscole deità della nostra minimezza, e presuntuose. Per questo piove, stamattina. Per colpa mia, delle mie nuvole. Quindi, anche se improvvisamente squillasse il campanello gioioso similmente a fanfare di festa, se al citofono la voce giovane di un fattorino mi annunciasse “Fiori per lei, signora,” non mi verrebbe da sorridere ponpon. Nemmeno da tremare, primuletta.
POI DOPO
Poi dopo mi hai preso sottobraccio, a riscaldarmi, quasi fossi un tuo alunno umiliato dall’ insufficienza, odiosamente meritata. “Magistra,” ti ho suggerito, “dietro la lavagna, nota sul registro. Punisci.” “Ma no,” hai risposto indulgente docente, e altera. “Una cioccolata calda nel bar lì di fronte.” In questa placida maniera iniziò. Non eri più inquieta o stizzita, non ti importavano ritardo e fiorellini mosci: avevi voglia improvvisa di ridere, parlare, stupire spalmandomi addosso una qualsiasi felicità bambina. Mi chiedevo il motivo di tanta stramba eccitazione. Fosse solo perché avevo rispettato l’impegno di rivederti, o invece già pensavi a un possibile sviluppo della storia, colla tra noi? Incredibile che da subito ti fossi piaciuto, a te bella troppo, io insipido. Sorridono così radiosi solo i contenti; tu lo eri. Fuori pioveva, attraverso le vetrine del bar striate d’acqua si vedevano persone camminare scontrose al riparo degli ombrelli, il cielo oscurarsi e abbassarsi sotto il peso di nuvole grandi. Anche quello avrei dovuto leggerlo come un presagio. Nubi. Grigio.
NON DEVO
Non devo fissarmi col pensiero in, su, per: te. Ho tanto domani vuoto da saturare, dettagli da rifinire. Luoghi, tempi. Modi, sensi. Sei passato, il mio passato. Convincermi inflessibile che comunque svanirai, se ancora tergiversi tentatore, impietosendomi. O sono io? Chissà se sono io a temere carità benevolente. Boa da circumnavigare, per non darla vinta alle onde. Mi immagino; naufraga avvilita e adirata. Nuoto, sbatto furenti piedi e braccia, vischiosa acqua a mulinello avvolgente mi blocca, giro a vite, non procedo. Galleggio. Vorrei tornare a riva, invece ninno appena, mi cullo amnio tiepido, faccio il morto. Fingo immobile resistenza, ottima strategia per chi teme l’abisso. Tragico infatti se annegassi, se imprevedibile una tempesta procellosa mi investisse crudele, gonfiandomi salmastra polmoni e viscere, annodandomi i capelli, pelle lisa e squamosa (oh agonia, e io da sola!) Passerà forse una zattera, lontana, all’orizzonte; scialuppa generosa di soccorso; almeno un faro a indicarmi l’approdo. Luce guida, luce duce, luce. So aspettare.
da “SE DOMANI TI ARRIVANO DEI FIORI”, GIOVANE HOLDEN EDIZIONI, VIAREGGIO 2021
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