Letteratura
Scrivere d’amore parlando solo d’amore
Christian Bobin (Le Creusot, 1951), vissuto sempre in maniera appartata nei dintorni della sua cittadina natale in Borgogna, è oggi uno degli scrittori francesi più noti e stimati a livello internazionale, per la qualità del suo timbro narrativo pacato e sobrio, e per la profondità delle sue riflessioni. Nelle sue pubblicazioni, che spesso consistono in plaquette di poche pagine, si confronta con temi importanti: il senso della vita, il rapporto con gli altri, il valore della conoscenza e dell’amore, il nulla e l’assoluto. La sua è una produzione meditativa e raccolta, di prose poetiche intense, miranti al recupero di una dimensione spirituale dell’esistenza, illuminata da momenti epifanici di grazia e di rivelazione. Credente, ma di una fede non circoscritta al cattolicesimo, rifiuta la pesantezza di una religione intesa come istituzione e obbligo, proponendo una sintesi tra l’umile lievità francescana e gli insegnamenti sapienziali del buddhismo, e rifuggendo da ogni declamazione o intento pedagogico. Poeta del poco, indifferente ai palcoscenici, alle cattedrali e ai salotti, si oppone all’esaltazione del troppo e del superfluo, all’esibizione ostentata, lodando invece l’importanza dell’attesa, delle minime esperienze quotidiane, del silenzio, della natura, dell’amore (“ci solleva da tutto, senza salvarci da nulla”), con l’invito a liberarsi da costrizioni inutili, imparando a conquistare la gioia “là dove non c’è più niente da afferrare, se non l’inafferrabile”. La felicità cui ambire deve essere pura, priva di motivazioni e fini esteriori: “Si può chiedere all’uccello la ragione del suo canto?”
La casa editrice Animamundi, fondata a Otranto nel 2012, sta dedicando molta attenzione all’opera di Bobin, e in pochi anni ha pubblicato tredici suoi testi. Tra questi, l’ultimo è Lettere d’oro, in cui chi legge viene immediatamente colpito dalla pacata musicalità della prosa, intessuta di pause e silenzi, quasi seguisse le indicazioni raccomandate da uno spartito di epoca barocca: “leggero e piano”, “delicato”, “sfumato”, “adagio”. Aldilà del fascino sottile che permea la disposizione delle frasi, c’è una seconda impressione suscitata dalla lettura, più emotivamente immediata: la volontà esplicita dell’autore di conquistare la trasparenza. Una trasparenza fatta di pulizia interiore, di innocenza nell’agire, di gentilezza nell’espressione. Una luminosità perseguita con determinazione, ma senza forzature, con docile abbandono. In queste Lettere d’oro Bobin affronta argomenti diversi (il mistero dello scrivere, lo splendore della natura, il contrasto tra bene e male, luce e buio, pieno e vuoto, presenza e assenza), riconducendoli a un unico fondamentale tema: quello dell’amore tra un uomo e una donna, dell’attrazione tra due corpi e due anime.
L’illuminazione, la salvezza che l’incontro con la sua personale beatrice ha offerto a una quotidianità prima declinata nel banale e nel superfluo, si manifesta in una incessante dichiarazione d’amore vergata su lettere (“queste macchie d’inchiostro”), che magicamente si colorano di oro quando esprimono dedizione, fiducia, attesa, gratitudine: “Ti scrivo queste lettere che mai eguaglieranno in purezza il semplice fatto che tu esista”, “È solo con te che vedo qualcosa. Solo te contemplo: tu ispiri alle terre le più sottili sfumature, a dio la sua luce più viva”. Destinataria del lungo, devoto messaggio, è la sua donna. Ma potrebbero essere tutte le donne del mondo, quelle amate e desiderate, quelle appena intraviste o solo sognate: l’affaticata, l’inconsolabile, l’anziana, la molto vissuta, la freschissima e giovanissima, quella che desidera essere dimenticata. Invece c’è lei, l’unica e imprescindibile, l’inevitabile e insostituibile: “Nessuna è come te: contemporanea alla mia nascita e alla mia morte”, “Non saprei descriverti il piacere che mi dà il tuo corpo, quando me lo concedi”, “Non esiste nulla all’infuori di te e non mi resta altro, per convincerti, che questa gioia che scaturisce da te, dalla tua sola esistenza persa nel mondo, sotto il cielo, sotto l’azzurro”. Per la donna, grazie alla donna e al suo amore, lo scrittore riesce a uscire dal proprio egotismo, allontanandosi dal “vano lavoro di scrivere” e rinunciando a “quell’instancabile monologo di una voce innamorata di se stessa, che basta a se stessa”. Diventa altro, cantore di bellezza e gratuità: “Con le maniche di camicia arrotolate fino ai gomiti, ho immerso il braccio nell’alveare eterno”: l’innamorarsi gli ha permesso di trasformare il suo artigianato in arte, e “non esiste altra arte se non l’arte amorosa”.
Bobin poeta della contemplazione e della speranza, esprime la sua grazia visionaria nella ricchezza delle metafore, cui fa ricorso con feconda generosità, quasi sentisse la necessità di appoggiare il suo discorso teorico a un’immagine visivamente concreta, fotogramma di un film o particolare di un quadro. Ecco solo alcuni dei suoi incisivi e toccanti “come”, sparsi nel testo a modo di una punteggiatura felicemente distratta: “Come una macchia su una mela; come una ragazza che si appoggia con le spalle alla porta spalancata, in attesa dell’amico; come un bambino svegliato nel candore della sua notte; come un uccello notturno entrato in casa che sbatte contro i mobili; come una vite vergine su un vecchio muro; come una casa deserta con le persiane rosse; come una serva maldestra che si rimanda in mansarda; come il battito di un cuore puro nell’oscurità della carne; come un cane che avverte il ritorno del suo padrone; come in una lettera che verrà”.
Una lettera che arriverà, una scritta con tremore, una ricevuta senza preavviso, una conservata gelosamente per molti anni: alle parole d’oro che dicono il bene, Christian Bobin ha dedicato pagine febbricitanti e incantate.
CHRISTIAN BOBIN, LETTERE D’ORO – ANIMAMUNDI, OTRANTO 2021, pp. 99
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