Letteratura

Scrittura, psiche e il quaderno proibito di Alba De Céspedes

1 Marzo 2017

Si può scrivere per tanti motivi. C’è chi scrive romanzi, racconti, saggi e canzoni, chi scrive articoli e post per testate, blog, aziende e chi scrive per sistemare le idee, per parlare ad una parte di sé che altrimenti sarebbe irraggiungibile. In quest’ultimo caso si tratta quasi sempre di lettere, appunti veloci, spezzoni di diario, (o forse vi basta un post veloce veloce su Facebook?) Comunque sia, se conoscete la sensazione di aver bisogno di mettere nero su bianco per tracciare una mappa per stare al mondo o solo per ascoltarvi, dovreste leggere Il quaderno proibito, romanzo capolavoro di Alba De Céspedes, scrittrice e intellettuale che ha parlato di donne, di sentimenti ad orologeria, di famiglie e di un mucchio di cose che hanno a che fare con il silenzio (pesante e sofferto) e la rassegnazione. Per Alba De Céspedes, che ha anticipato di venti anni il dibattito femminista, la scrittura è una stregoneria: una forma espressiva impudente, un cavaturaccioli che, puf, libera pensieri e stati d’animo. “La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità” diceva Marguerite Duras. E infatti quando Valeria, la protagonista de Il quaderno proibito (quarant’anni, un lavoro, un marito e due figli), acquista un taccuino ancora non sa che imprimere i pensieri sulla pagina bianca significa scavare fossi emotivi. Lasciare andare la penna e i pensieri la coinvolge e in qualche modo la libera da schemi casalinghi in cui non si riconosce. Troppa la noia per essere costantemente giudicata, tenuta d’occhio dal marito e dai figli. Grazie alle parole, Valeria riscrive la sua storia personale, ma man mano che procede qualcosa dentro si spacca. Dalle spaccature saltano fuori pulsioni addomesticate, insofferenze, malumori. La Valeria di sempre – ancora giovane ma inappagata – sera dopo sera, confessione dopo confessione, lascia il posto ad una donna più risoluta che finisce pure a ricercare un nuovo amore.

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Alba De Céspedes

Quando questo libro viene pubblicato da Mondadori, nel 1952, gli anni Sessanta sono lontani. Qualcuno lo reputa sconveniente. La società ha un’idea precisa della donna, tra perbenismo e canoni indiscutibili. Alba De Céspedes, invece, fa sapere che le donne non sono remissività e subordinazione e lo fa esplorando il binomio scrittura – psiche. Quella femminile, in particolare. La scrittura diventa uno specchio, un mezzo di esplorazione e di ricerca.

Scrivendo, Valeria ritrova pezzi di se stessa, accede a stanze emozionali, respira. Un percorso inviso al marito, che resta ai margini ad osservare il cambiamento della moglie. Valeria vive la scrittura come una liberazione, ma anche come un’azione sbagliata, da nascondere. La sua sensazione è frutto delle aspettative della gente e del marito: nessuno si aspetta che una donna si metta a scrivere. Tutti, invece, si aspettano che sia paziente, brava ai fornelli e attenta alle necessità della famiglia.

Sono le due di notte, mi sono alzata per scrivere: non riuscivo a dormire. La colpa è, ancora una volta, di questo quaderno. Prima dimenticavo subito ciò che accadeva in casa; adesso, invece, da quando ho incominciato a prendere nota degli avvenimenti quotidiani, li trattengo nella memoria e tento di capire perché si siano prodotti. Se è vero che la nascosta presenza di questo quaderno dà un sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve a renderla più felice” confessa Valeria.

Per lei la risalita verso una parte di sé ignota, nascosta sotto cumuli di doveri e azioni programmate, è fastidiosa, proprio come lo è ogni risveglio.

 

 

 

 

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