Letteratura

Scrittura autobiografica: qualche riflessione di fondo

7 Maggio 2016

Lo so, ci sono molte cose a cui potrei pensare, ma in veste di redattrice on line, lettrice, blogger, insomma di una che sta in mezzo alla scrittura e alle parole da quando aveva un anno di vita, questa riflessione è quasi doverosa. Mi chiedo: come si fa a discernere un buon racconto autobiografico da uno che non lo è? Questa domanda trova i suoi perché ne Il quesito di fondo, un pezzo pubblicato sul blog di edizioni SUR.  Il pezzo in questione è di Chloe Caldwell (eccolo qui), scrittrice, che racconta la sua esperienza di insegnante di scrittura autobiografica. Niente di didascalico. È uno scritto di ottimo livello, appassionante, che arriva dritto dritto al lettore, e non importa che parli di fatti personali dell’autrice: leggendo leggendo ci troverete dentro qualcosa di voi. Pensate: io l’ho letto tre volte.  Volevo capire cosa mi attirasse tanto, cosa ci fosse tra le righe a catturare la mia attenzione. Il bello è che al post ci sono arrivata seguendo una traccia lasciata on line da Raffaella Ferré, scrittrice e giornalista, che non solo ha tenuto un laboratorio di scrittura autobiografica in carcere a Napoli, ma ha pure pubblicato diversi racconti non fiction. Viva i ponti creati tra gli scrittori anche se vivono a chilometri di distanza, quindi.

Per quanto mi riguarda, anche lontano dall’universo Internet, le autobiografie, i memoir e pure le biografie (c’è la giornalista Cristina De Stefano che ne scrive di stupende, una su tutte quella di Oriana Fallaci, Oriana, una donna) mi chiamano dagli scaffali, introducendomi nella vite di persone che hanno popolato o popolano il mondo delle lettere o che sono in grado di emozionare, scandalizzare (quel che volete) parlando di se stesse. Questa cosa accade da che ho imparato a leggere (da ragazzina leggevo un sacco di diari), ma ho constatato che da un anno a questa parte si è intensificata. Gli ultimi libri che ho letto sono difatti: un’autobiografia, una biografia e un romanzo la cui voce narrante è quella della protagonista, che scivola tra frasi luminose e essenziali. Capirete, allora, che la mia riflessione sulla qualità e anche la collocazione della scrittura autobiografica non è azzardata. A furia di leggere, mi pongo domande:

  • Come si valuta uno scritto autobiografico?
  • In base a quali canoni?
  • Si bada solo alla scrittura, come sarebbe giusto, o anche al clamore intorno all’autore?
  • Se io signorina nessuno proponessi la mia autobiografia che senso avrebbe?

E ancora:

  • Siamo sicuri che gli spazi per questo tipo di letteratura siano solo i libri?

Violetta Bellocchio, scrittrice, anni fa si è data da fare per creare Abbiamo le prove la prima rivista on line di racconti non fiction, la cui tagline dice: solo storie vere. Il libro è nato dopo (penso che lo abbiamo letto proprio tutti Quello che hai amato, o no?), avviandosi per una strada autonoma, parallela a quella della rivista. Per la serie: a ogni cosa il proprio spazio.

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Mi piacerebbe fare quattro chiacchiere sul punto con Violetta Bellocchio, Giuliana Altamura, Raffaella Ferré, Veronica Tommassini, autrici italiane molto molto interessanti e che cito senza pensarci troppo. Ciascuna ha una propria voce, una sua visione della realtà. Ognuna di loro mi ha: accompagnato, rialzato, aperto gli occhi, indotto a riflettere, fatto sorridere e sussultare. Potere della scrittura autobiografica, per l’appunto. Davanti a questa constatazione, ci basti sapere che – nonostante le gufate di chi pensa alla scrittura autobiografica come a una sciocchezza –la non fiction italiana esiste, se la cava, fa parlare di sé e aggrega ottime penne. Come nel caso di Lucio Trevisan, scrittore, che in Ingratitudine (No Reply editore) racconta la sua vita milanese, nel pieno delle rivolte studentesche e gli anni Settanta. Ma mi fermo qui, perché questo non è un post sui libri autobiografici da leggere. È un post che riflette sulla scrittura autobiografica, punto.

Perciò, torno alle domande:

Non dovrebbe riempirci di meraviglia e orgoglio che il romanzo autobiografico più celebre del globo sia opera di un’italiana?

Si, parlo proprio di Un uomo di Oriana Fallaci, che, vi piaccia o no, è stata la giornalista più acclamata del pianeta e l’America avrebbe fatto carte false per averla tutta sua (sul punto, qualcosa qui).

scrittura-autobiografia

Un’altra faccenda, forse la più spinosa, almeno per gli autori, è la posta in gioco della scrittura autobiografica. Avete idea di quanto coraggio occorra per mettere nero su bianco il proprio vissuto, il proprio punto di vista, i propri pensieri? Pure se non si rispettano le cronologie, pure se si gioca di tecnica e si estremizzano avvenimenti e sensazioni, sul foglio si imprime un’esistenza. È un’esigenza espressiva dirompente quella che sta alla base della scrittura autobiografica. Io l’ho sperimentata e puntuale monta l’angoscia. Mi spiego: in questo mondo infimo se mi metto a scrivere della la mia preadolescenza sfigata, tra la fissità, lo squallore della provincia e un disagio alimentare che ha mutato per sempre il mio rapporto con il cibo – tanto per pescare nel mucchio – non è che qualcuno monopolizzerà tutto questo e me lo ritorcerà contro?

Quindi, alla fine della fiera, la domande delle domande è: chi ha paura della scrittura autobiografica?

 

 

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