Letteratura
Sante Notarnicola, poeta
Sono passati quasi tre anni dalla morte di Sante Notarnicola, il 22 marzo 2021. Figura complessa, paradigma di un Novecento violento e romantico. È stato definito in tanti modi diversi: sovversivo, brigatista, brigante, irriducibile. E poeta. Perché la vita folle e drammatica di quest’uomo, nato nel 1938 a Castellaneta, in provincia di Taranto, in un contesto di difficoltà e di miseria, è emblematica. Nelle pieghe di una militanza fattiva a sinistra, Notarnicola ha percorso la strada degli “espropri proletari” (fino alla sanguinosa rapina di Largo Zandonai a Milano, nel 1967) che lo portarono alla condanna a vita. L’ergastolo. E nell’angustia delle celle lui – cresciuto prima all’Istituto per l’Infanzia Abbandonata, e poi a Torino, da “emigrante” con la madre – ha trovato il senso delle parole, la forza della scrittura, la capacità di trasporre su carta il proprio mondo. In carcere, nella vita passata in carcere, Sante è diventato poeta.
Allora ben ha atto la coraggiosa casa editrice calabrese Lyriks a ridare alle stampe “Con questa anima inquieta”. Una riedizione postuma, a cura di Nino Cannatà, che pure omaggia in modo vivo e vero l’opera di questo poeta anomalo, guerrigliero del sentimento, militante di una nostalgia che non è certo rimpianto né, tanto meno, pentimento, quanto struggimento commovente per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, ma anche radicale consapevolezza del presente, dello stato delle cose, della necessità di una coscienza attiva e ribelle.
Allora, l’uscita di questo piccolo volume è un fatto importante: mi ha spinto a riaprire la tastiera e provare a mettere in pagina qualche pensiero, certo inadeguato, per restituire l’emozione della lettura. Il volume ha almeno quattro pregi. Il primo è duplice. Da un lato c’è la prefazione di Aldo Nove – che ben colloca l’opera poetica di Notarnicola in una tradizione lirica che connota la poesia italiana a partire da Leopardi, per attraversare Pascoli, ma anche Zanzotto o Pasolini – dall’altro la ribollente postfazione di Goffredo Fofi, in cui si avverte l’urgenza di un “dire” magmatico, specchio degli anni ribelli (dalla fine dei Sessanta agli Ottanta), in cui la rivolta di Notarnicola «da ‘sociale’ ha saputo farsi ‘politica’, basata sul lavoro del ricordo e la ricerca dei ‘perché’ cui l’esperienza carceraria obbliga i ‘reprobi’, i condannati».
Il secondo motivo di interesse di questa pubblicazione è nel riprodurre le pagine originali, i dattiloscritti e ancor più i manoscritti dell’autore. Una grafia minuta, precisa, netta, scandita nel tempo. E quasi vien da pensare che quei tratti, quella calligrafia sia specchio di un’anima sospesa tra suggestioni, percezioni, desideri, volontà le più diverse, concentrate nel microcosmo della penna che corre sulla carta.
E ancora: il terzo pregio del volume è che si può leggere anche come una anomala, anomalissima guida alle carceri italiane. Ogni poesia è accompagnata dal luogo in cui è stata scritta. E si può, così, tracciare un itinerario della privazione della libertà, scandito dai nomi di luoghi tristemente noti: San Vittore, a partire dal gennaio 1970; poi Volterra – e chi, come me, si occupa di teatro sa bene quanto quel carcere sia simbolico – poi ancora San Vittore, Pavia, Augusta nel 1972; e Lecce, Porto Azzurro, Procida, Favignana (dal maggio 73 al febbraio 77), poi Saluzzo, l’Asinara, Nuoro, e di nuovo Favignana. La “mobilità” nel carcere che è la ineluttabilità del carcere, l’annullamento di ogni altro orizzonte.
Infine, vi è il quarto e innegabile pregio del libro: le poesie. Non sto qui a riportare i passaggi commoventi, le metafore avvolgenti, le invettive. Sono le parole che diventano, come non mai, strumenti di vita e di libertà. I ricordi si affastellano, le vicende storiche si incanalano in una riflessione che è bilancio esistenziale, gli slanci affettivi e militanti si mortificano nella loro impossibilità materica. Parole d’amore, di sogno, di lotta. Di amara coscienza.
E in questi tempi frivoli e volgari, mentre gorgheggiano a San Remo e promuovono una mediocre serie tv chiamata “Marefuori” arriva come un meteorite, dal passato sempre presente, quella breve poesia che forse racchiude, in sé, tutto il mondo negato di Sante Notarnicola. Si intitola “Posto di guardia” e dice: «Il guardiano più giovane/ ha preso posto/ davanti alla mia cella/ “dietro quel muro – mi ha indicato – il mare è azzurrissimo”/ Per farmi morire un poco,/ il guardiano più giovane, / mi ha detto questo…». Era il 6 ottobre 1973, nel carcere di Favignana.
Sante Notarnicola
Con questa anima inquieta
Lyriks editore
15euro
www.lyriks.it
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