Letteratura
Riletture: Frankenstein o il moderno Prometeo
Ecco un romanzo che ha compiuto da poco i suoi primi 200 anni (pubblicato nel 1818 e modificato dall’autrice per una seconda edizione del 1831) ed è diventato il capostipite non solo di un certo ramo della letteratura moderna e contemporanea, ma anche di un vero e proprio genere che ha poi abbracciato tutte le arti e il pensiero dell’uomo.
L’autrice si chiama Mary Shelley – nota anche per essere la moglie del poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley – e il titolo del volume è Frankenstein o Il moderno prometeo, scritto in un periodo compreso tra il 1816 e 1817. All’epoca della scrittura del romanzo, Mary Shilley aveva 19 anni, una vita travagliata alle spalle in cui era nato anche il suo amore per il marito, 4 figli, di cui solo uno sopravvissuto, e un romanzo ancora da scrivere, L’ultimo uomo, in cui riprenderà in mano il tema della fantascienza raccontando di un mondo in cui solo una persona è sopravvissuta ad un’epidemia di peste.
Frankenstein nasce come una sorta di sfida con il marito e il medico e scrittore John William Polidori sulle sponde del Lago di Ginevra, in una villa che lord Byron aveva affittato per le vacanze estive. Fu lo stesso Byron, un giorno, a proporre ai suoi amici di scrivere una storia di fantasmi dato che il tempo non era dei migliori ed era messo alla pioggia. Polidori scrisse Il vampiro, un racconto dell’orrore, Byron un piccolo frammento sempre su una storia di vampiri, mentre Percy Bysshe Shelley alla fine si tirò indietro dalla sfida. Fu proprio in quella occasione che Mary Shelley iniziò a scrivere Frankenstein, un racconto che prese spunto da un sogno fatto dopo una discussione con il marito circa la vita dopo la morte di alcuni particolari protozoi.
Frankenstein racconta la storia dell’omonimo dottore, ripescato a bordo dal giovane capitano Robert Walton durante il suo viaggio verso il polo nord. Il suo equipaggio aveva notato una figura enorme e mostruosa allontanarsi su una slitta e poi, il giorno seguente, un’altra slitta in cui viaggiava il dottore quasi congelato. Walton fece quindi di tutto per salvare l’uomo che, abbandonato sul ghiaccio, sarebbe andato incontro a morte certa. Il racconto delle peripezie del giovane Frankenstein trovano spazio in un “diario” che Walton tiene annotando i racconti che lo stesso dottore di Ginevra gli fornisce dopo essere stato curato e riscaldato sulla nave.
Piano piano si viene a conoscere la vita della famiglia Frankenstein e degli studi del dottore sulle antiche opere di Paracelso, Cornelio Agrippa e Alberto Magno, della sua amicizia con Henry Clerval e del suo soggiorno a Ingolstdat, in Germania, dove, approfondendo i suoi studi, riesce a dar vita ad una creatura costituita da pezzi di cadaveri umani che sarà destinata a pregiudicare per sempre la sua stessa esistenza.
Il racconto, che io ho letto in una bellissima edizione della Rizzoli, e tradotto da B. Tasso (con illustrazioni di Lynd Ward), è vero gioiello, da leggere e da possedere nella propria biblioteca, un capolavoro che con il suo linguaggio ottocentesco, la sua trama spaventosa ma “umana” e i suoi personaggi verosimili conquisterà il vostro tempo e si farà leggere pagina dopo pagina, in men che non si dica.
Il dolore di Victor Frankenstein, il “demone” che lo inseguirà in un breve cammino di morte e dissoluzione è quanto di più imitato e ricordato nella letteratura fantascientifica – oltre ad essere divenuto un mito gotico – e non solo, dato che le opere tratte o ispirate dal romanzo di Mary Shelley sono davvero moltissime, tra cui almeno 69 film compresi di horror e parodie, e 30 libri, di cui molti per bambini in uno spazio di tempo che copre davvero i suoi “primi” 200 anni.
Fa sorridere che l’errore più comune che si commette parlando del capolavoro della Shelley si faccia parlando di Frankenstein scambiando il nome dello scienziato protagonista della storia con quello del mostro che egli stesso crea, che non ha nome e viene definito molto spesso come un “demone”. Ma leggendolo imparerete molto di più, e vi apparirà molto chiara l’epigrafe (tratta dal Paradiso Perduto di John Milton) che Mary Shelley ha voluto accompagnare alle prime pagine del testo:
Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla
di crearmi uomo, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi…?
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