Letteratura
Ricorrenze freudiane nella Roma di Moravia
La vicenda narrata in questo romanzo moraviano del 1988, Il viaggio a Roma, è quella di una vacanza che il giovane protagonista, Mario De Sio, trascorre nella capitale per incontrarvi il padre, non più rivisto da una quindicina d’anni, da quando cioè era stato costretto, bambino, a seguire la madre a Parigi. “Viaggio” è, come sempre, termine duplice, di conoscenza e arricchimento esteriore e interiore insieme. Per Mario, in particolare, questo ritorno a Roma ha una funzione terapeutica: in termini psicanalitici, serve a liberarlo dal complesso edipico nutrito nei riguardi della mamma, morta nel pieno di una giovinezza sensuale e sfrenata. Appena giunto nella capitale, dopo un piacevole viaggio aereo in compagnia di due francesi, madre e figlia (Jeanne, giovane vedova inappagata, e Alda, acerba e inquieta quattordicenne, destinate entrambe ad avere un ruolo risolutorio nella crisi esistenziale del protagonista), ritrova un padre complessato e istrione, per cui sente subito un’avversione molto simile al ribrezzo fisico. Con una tecnica narrativa che potrebbe sembrare ingenua e un po’ irritante da parte di un narratore consumato come Alberto Moravia, già dal secondo capitolo viene offerta al lettore la chiave di interpretazione del libro: nella prima lunga conversazione col padre, precipitosa e pretestuosa, Mario viene a conoscenza di quanto aveva rimosso per quindici anni, e rivive quella che Freud ha definito “la scena primaria”, cui aveva assistito da bambino, sorprendendo un animalesco accoppiamento della madre con l’amante. Il giovane resta talmente scosso all’inattesa rivelazione da voler ricreare la stessa situazione con tutte le donne che incontra, cercando puntigliosamente di recuperare ogni particolare ambientale e fisico a fatica ricostruito nella memoria. Jeanne, Alda, la scimmiesca donna di servizio Oringia, e infine la conturbante amica del padre Esmeralda, fungono in maniera più o meno consapevole da controfigure della madre, con cui vengono confrontate per contrasto o somiglianza. Il romanzo è quindi la storia di un incesto desiderato e mai consumato, una terapia analitica caparbiamente voluta ma destinata al fallimento a causa dell’eccessiva coscienza razionale del protagonista, che è insieme paziente e analista di sé medesimo.
Il sesso, come in tutta la produzione moraviana, è ossessivamente presente nella vicenda, ma nello stesso tempo trattato con spietatezza e freddezza clinica: nessun rapporto fisico viene portato a termine, poiché ogni personaggio finisce per fuggire precipitosamente o per bloccarsi, reiterando una morbosa esibizione di genitali smaniosi e insoddisfatti. Oltre alla sessualità, ritroviamo in questo testo tanti altri tipici temi di Moravia: l’età di Mario, in bilico tra adolescenza e giovinezza, tra una virtuale disponibilità ad aderire a qualsiasi evento e una sostanziale estraneità al mondo che lo circonda, ci ricorda altri caratteri dello scrittore (Agostino, Luca, Girolamo, Michele…). Il fatto che Mario si consideri poeta, ma non scriva poesia in quanto tutti i versi che vorrebbe comporre sono già state scritti da Apollinaire; il fatto, insomma, che egli sia un artista fallito, lo accosta alla galleria di altri intellettuali frustrati che Moravia ha spesso scelto come protagonisti dei suoi romanzi. La Roma agiata e borghese, che fa da sfondo a questa storia, con i suoi giardini spelacchiati, le signorili palazzine anni ’20, gli interni luminosi con ampie terrazze, è la stessa Roma complice e ruffiana di tante altre vicende. Il concetto di famiglia come istituzione-rifugio da rispettare e salvaguardare esteriormente, ma in realtà crogiolo di inganni, simulazioni, interessi inconfessabili e altrettanto inconfessabili vizi o sopraffazioni, è anch’esso un motivo riconoscibile nella narrativa moraviana. Ancora, le figure femminili sempre ambigue, sempre carnali al limite di ogni fisicità e dominanti rispetto allo scialbo mondo maschile, ripercorrono tutta la sequela di madri, amanti, sorelle che abbiamo conosciuto da Gli indifferenti in poi; addirittura l’acerbità scontrosa e aggressiva della protagonista più giovane, Alda, e l’opulenza felliniana esibita da Esmeralda ricalcano in modo impressionante i personaggi de La vita interiore. Può forse infastidire, in questo Viaggio a Roma, l’insistito ricorso a situazioni da manuale di psicanalisi, per cui ogni avvenimento e ogni pulsione sono freudianamente interpretabili e, purtroppo, freudianamente ineccepibili. Questa caratteristica tipica dell’ultima produzione di Moravia, non inficia comunque l’eccezionalità di uno scrittore grande anche nelle opere minori.
ALBERTO MORAVIA, IL VIAGGIO A ROMA – BOMPIANI 2012, e-book
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