Letteratura
Ricordando Fabrizio De André
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I
Appena un po’ di tenerezza
ci è rimasta tra le dita,
in questo aprile sfiorito
che fatica a scaldarsi.
Il tiepido amore di oggi
com’è lontano dalle nostre promesse:
che mai e poi mai ci lasceremo.
Sbiadito impallidito perduto,
ci pesa addirittura una carezza.
Vedi le viole nel bicchiere?
Rassegnate alla non primavera
si sono piegate sul gambo.
II
Non so se ti ho amato
da sempre, per sempre,
o se invece mai: un poco,
raramente, sforzandomi,
lasciandomi andare.
Era piuttosto un gioco;
rincorrerti, nascondermi,
chiederti un bacio
poi non volerlo più.
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Giorni persi, distanti
‒ con te che vai
nel vento, con me che resto.
III
Verranno a chiederti di noi,
ma tu non rispondere.
Frena le labbra,
lasciali supporre.
(Sbirri, consumata plebe,
rozzi sovrani, spuri
patriarchi): regalagli un trucco
per confonderli, scagliali via
con furba intelligenza.
Li vedi come schiumano rabbiosi
setacciando la cella:
non troveranno nulla,
amore,
nemmeno il tuo perdono.
Omaggio a Fabrizio De André, con versi tratti da La canzone dell’amore perduto, Amore che vieni amore che vai, Verranno a chiederti del nostro amore.
(In Rime e varianti per i miei musicanti, Marco Saya Editore, Milano 2020)
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