Letteratura

Ricerca dell’identità e tensione verso l’altro nella poesia di Cristiano Poletti

26 Marzo 2020

Temporali (Marcos y Marcos, 2019), il più recente libro di poesia di Cristiano Poletti, è l’esito di un percorso ampio e stratificato che raccoglie episodi privati, racconti di viaggio, situazioni particolari e contingenti e sguardi rivolti alla storia degli ultimi decenni. Il titolo dell’opera sembra rimandare sia al fenomeno atmosferico, verosimilmente richiamato come una metafora, ovvero un’energia in potenza e un’esplosione di elettricità, sia a un’idea collettiva e plurale di provvisorietà, di rapporto naturale con la trasformazione delle cose e il mutamento.

La tensione evocata dal titolo si ritrova nella scrittura, modulata su un lirismo che se da un lato si fonda sull’esperienza, dall’altro sembra voler formalizzare la propria intensità poetica, anche a costo di qualche astrazione o deriva ermetica, pur in una versificazione sempre precisa e controllata. I passaggi più importanti e memorabili risultano quelli in cui il discorso si fa più concreto e libero di ammettere la coesistenza di poesia e racconto. Come in “Referto”, una poesia in cui si fa una fotografia, ambientale e interiore, di un amore lontano e sfumato:

Così di un mio segreto

amore di una notte

provavo a raccontarti e adesso

ti scrivo che ricordo:

i due a fine temporale

non si sono più rivisti.

Oltre il momento d’acqua, il corridoio

di pioggia che fu specchio, se ne vanno

nel timore di amare, gli uomini.

Oltre le storie che animano libro, uno dei tratti principali – non il solo, certo – del fare poetico di Poletti, di quello che l’autore, in sostanza, mostra attraverso la sua scrittura può essere sintetizzato in un bisogno profondo, forse vitale, di individuazione, di definizone di una propria identità nello spazio circostante. Processo che pare accadere, o realizzarsi, soltanto grazie all’incontro con un altro possibile. Emblematica a questo riguardo è “Otto anni”:

Questa terra capace

tra l’autostrada e il suo diesis.

La mattina, la brina, sono solo

pochi anni a dividerci.

Verso Trieste ora

la fede continua: amerai ancora,

dice la strada, sarai ricambiato.

E adesso

dentro un tremolio dell’aria

ci chiediamo cosa mangeremo.

La torta annunciata e altro

ancora. Intorno i libri,

una sera che non ha nome.

Da tanto non piove.

Ma un temporale ascolta

si prepara nel’aria, cedono

l’alta pressione e gli anni.

Ti chiamo. Chiama.

E in armonia con quanto si dice in merito all’esigenza di tensione-intensità, suggerita dal titolo, e riscontrabile nella scrittura, in Temporali l’individuazione del sé e la relazione con l’altro, nonchè la missione-funzione poetica dell’autore, paiono diventare vere se l’esperienza viene in qualche misura assolutizzata, o meglio spiritualizzata, di una spiritualità, s’intende, accordata a una ragione pratica e umana, dove, se si vuole, sentimentale fa rima con rituale. A questo riguardo, tra le molte, oltre a quelle già citate, si legga “Dove”:

Fiume e nebbia, nostro inverno

che fai

scuri i segreti e i rami.

Questa pianura, la nostra

fine, fiume e vita caduti qui, su un viso.

 

Finirà nella

religione di un giorno solamente

il disegno non vano.

 

E il campo

tutto è un falsopiano.

Sotto il velo

nelle ragioni del bianco del cielo.

E, ancora, “Fine temporale”:

Ho pregato un riflesso in te,

forse era il mio ma

credendo solo a questo tavolino sparecchiato

è stato inutile. Eppure

non sono materiale, guarda,

neanche la spesa ho sistemato

e nel ripostiglio è caduto tutto.

 

Penso sia anche piovuto.

Era annunciato per oggi, previsto

che venisse e smettesse.

 

Su questo tavolino scrivo

a te riscrivo se possibile

felice di questo

fine temporale.

 

***

Foto di Viviana Nicodemo

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