Letteratura
Recensione a Revolusi di David Van Reybrouck
Recensione a “Revolusi – L’Indonesia e la nascita del mondo moderno” di David Van Reybrouck, traduzione di Chiara Beltrami Gottmer, Chiara Nardo e Franco Paris, Feltrinelli Editore, Milano, 2023, pp. 624, 25 euro (edizione cartacea), 8,99 euro (e-book).
David Van Reybrouck è uno dei più importanti intellettuali fiamminghi. Personaggio eclettico che si occupa di storia, archeologia, saggistica e narrativa. Ha ottenuto il successo internazionale con il volume “Congo” del 2010, in cui ripercorre la storia della colonizzazione belga grazie a un meticoloso lavoro sulle fonti orali.
Revolusi
Nel 2023, è uscito “Revolusi”, che attraverso fonti d’archivio e fonti orali ripercorre la storia della colonizzazione delle Indie Orientali Olandesi. Oltre al processo di colonizzazione, Van Reybrouck affronta l’occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale e il processo di indipendenza, appunto la “Revolusi”.
L’autore analizza spesso la storia dell’Indonesia attraverso i rapporti di potere. Prende l’esempio del naufragio di un battello postale tra le acque del mare di Giava nel 1936 per osservare la struttura della società. Le cabine di prima classe erano riservate ai ricchi occidentali e ad alcune famiglie miste indo-olandesi. La seconda classe era popolata da indo-olandesi e indigeni facoltosi. La terza quasi esclusivamente da indonesiani. Van Reybrouck nota anche la presenza di una consistente minoranza cinese, trasversale a tutte le classi.
L’invasione giapponese
La Seconda guerra mondiale stravolge questa situazione. L’Olanda è invasa dalla Germania e la regina Guglielmina ripara a Londra dove si stabilisce il governo in esilio. L’Olanda amministra le Indie Orientali finché gli Stati Uniti non impongono un embargo petrolifero al Giappone. Per procacciarsi il petrolio, le truppe imperiali decidono di invadere la colonia olandese, dove sono già attivi numerosi pozzi.
Van Reybrouck descrive l’invasione giapponese come inizialmente benevola per i civili indonesiani. L’impero maschera la necessità di petrolio con l’idea di scacciare gli europei dall’Asia. Al tempo stesso, i civili europei e gli indo-olandesi sono internati in campi di detenzione in condizioni durissime, mentre i militari vengono schiavizzati. La piaga delle dame di compagnia per l’esercito giapponese travolge sia gli europei che gli indonesiani.
Per sottolineare la volontà di restituire l’Asia agli asiatici, i giapponesi collaborano con i leader nazionalisti che sognano l’indipendenza, come Sukarno e Mohammad Hatta. Al contrario, il più idealista Sutan Sjahrir si rifiuta di dialogare con i giapponesi.
Il buon rapporto tra truppe giapponesi e popolazione locale si incrina presto, quando una colossale carestia porta allo stremo la popolazione. Il nazionalismo risorge con la sconfitta giapponese. Il 17 agosto 1945, appena due giorni dopo la resa del Giappone, Sukarno dichiara l’indipendenza dell’Indonesia.
L’indipendenza
Sukarno gioca d’anticipo sugli olandesi che volevano riprendersi le proprie colonie con le loro materie prime. Comprende che l’indipendenza può essere ottenuta solo con uno sforzo collaborativo dei tre movimenti politici principali, ovvero il nazionalismo, l’islam e il socialismo. Per unificare la politica enuncia la Pancasila, i cinque principi che forgiano la Nazione indonesiana: fede in un unico Dio (sia cristiano, musulmano o buddista), giustizia e civiltà umana, unità dell’Indonesia, democrazia e giustizia sociale.
Sukarno è presidente e Sjahrir primo ministro. L’abilità politica e oratoria di Sukarno però non è sufficiente a placare gli olandesi, che invadono l’arcipelago con il supporto inglese. Iniziano così quattro anni di guerra di indipendenza che l’autore divide in tre parti.
La prima è dominata dagli inglesi, che supportano militarmente gli olandesi, ma diplomaticamente gli indonesiani, in un contesto internazionale di decolonizzazione. Infatti, il Regno Unito si rassegna alla perdita delle sue maggiori colonie come Pakistan, Birmania e India. In particolare, il movimento indiano era molto vicino a quello indonesiano.
Dopo i primi accordi tra Olanda e Indonesia, Sjahrir viene sostituito da Hatta e gli inglesi si ritirano. Far rispettare gli accordi diventa impossibile. Così, dopo un complicato controllo olandese, intervengono le Nazioni Unite con un monitoraggio attivo da parte degli Stati Uniti.
Il nuovo ordine mondiale
L’intervento del peso massimo americano è inizialmente favorevole agli occidentali, ma interviene la paura che il comunismo si diffonda nel sud est asiatico. Questa paura sembra rendere gli Stati Uniti schizofrenici, ondivaghi tra varie soluzioni.
Alla fine, gli Stati Uniti preferiscono i nazionalisti di Sukarno che guardano più a Delhi che a Mosca, anziché rischiare che il governo coloniale olandese alimenti la guerriglia comunista. L’Olanda, sotto la minaccia di rimanere esclusa dagli aiuti del piano Marshall, abbandona così l’Estremo Oriente.
L’ultimo capitolo illustra il lascito dell’esperienza della Revolusi, attraverso la conferenza di Bandung del 1955. Qui si riuniscono i paesi che non si riconoscono né nel capitalismo di Washington né nel comunismo di Mosca. Bandung è un passo importante sia per lo sviluppo dei paesi non allineati che per la grande decolonizzazione degli anni a seguire, tanto da ispirare uno dei protagonisti del precedente libro di Van Reybrouck, ovvero Patrice Lumumba, artefice dell’indipendenza del Congo dal Belgio.
Rileggere la storia
Il volume è quindi importante per rileggere la storia di un paese importante ma spesso dimenticato dal dibattito pubblico. Il quarto paese più popoloso al mondo e il primo a dichiararsi indipendente dopo la Seconda guerra mondiale, ma che ha dovuto attraversare una lunga e sanguinosa guerra di indipendenza, definita dagli olandesi come “Azioni di polizia”.
Attraverso magnifiche ed emozionanti interviste nei Paesi Bassi, in Indonesia, in Giappone e perfino in Nepal, Van Reybrouck prova a fare i conti con il passato, navigando nella complessità della storia. Una storia che gli olandesi hanno spesso trascurato, ignorando i crimini di guerra, oltre che l’apporto degli studenti indonesiani alla resistenza olandese contro i nazisti.
Solo recentemente i Paese Bassi hanno messo in dubbio il proprio passato coloniale, porgendo scuse e concedendo risarcimenti. Una tardiva presa d’atto che evidenza la difficoltà di tutto l’occidente di mettere in discussione i propri errori, sia quelli più eclatanti che il mancato rispetto degli accordi presi.
Ma mostra anche i limiti di una classe politica indonesiana che, pur avendo meriti importanti, ha tentennato di fronte al fascismo giapponese. Come a ricordarci che anche uomini seducenti e abili come Sukarno (e Lumumba in Congo) non possono incarnare solo aspetti positivi.
Immagine da Wikipedia (dichiarazione di indipendenza dell’Indonesia)
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