Letteratura
Racconto brevissimo, semiserio, andante ma non troppo
Qualche anno fa, ho creduto davvero di aver visto in carne e ossa la donna dipinta da Amedeo nel famoso “Nudo Rosso”. Certo, il quadro è del 1918, il che farebbe ritenere una follia la mia asserzione, ma giuro, io ho visto di persona la modella di quel nudo.
Mi trovo in Sicilia, presso un’isola delle Eolie, a fantasticare un saggio satirico sulla pigrizia mentale degli intellettuali italiani contemporanei. Sto alle prese con appunti del tutto confusi e mi accompagno con mezza dozzina di aperitivi, seduto al tavolo di un bar, in un meraviglioso angolo di paese. Faccio per concentrarmi fino agli estremi per venire a capo di un arzigogolo scritto male, ma così male, da sembrare io stesso uno di quegli addormentati che avevo posto in argomento, quando mi accorgo di una figura femminile dall’incarnato dorato, seduta di fronte a me, a un tavolo di distanza.
Santi Numi! Vedo una donna con capelli scuri, taglio alla francese; occhi neri e profondi, più profondi di me! Un naso dritto, quasi imponente, labbra teneramente carnose e un collo snello e longilineo. Non finisco di guardare il suo volto che già penso a Modigliani.
Da quale tela è uscita? Un solo attimo, e capisco che è l’ardente del “Nudo Rosso”, anche se ora appare nel suo abitino verde con colletto bianco.
Lei non sembra accorgersi di me. È intenta a sfogliare quel che sembra un depliant turistico.
Ne approfitto, per darle un’occhiata generale, senza correre il rischio di sentirmi indiscreto. Ahi, ahi, che schianto! Che splendor! Quanta grazia degli Dei! Vado in subbuglio, la mia mente è in preda a un torpore, e non posso più ritornare ai mie appunti approssimativi perché non capisco una minchia (siamo in Sicilia) di niente.
Le guardo le gambe accavallate, scoperte fin sopra alle ginocchia: uno stinco lucido e polpacci appena muscolosi. Le guardo i seni, che per un po’ s’intravedono e per l’altra parte restano turgidi sotto l’abito.
Le guardo i piedi nelle scarpe scoperte con tacco leggero: caviglie ossute e lievi venature che scendono sui malleoli. Ogni zona del suo corpo è permeata di profondo erotismo.
Ma, non è solo il suo aspetto fisico a sconvolgermi. L’animale, seduto di fronte a me, emana una interiorità intensa. Non appena incrocio i suoi occhi, quasi mi si ferma il respiro, e non so fino a che punto riesco a mascherare il mio stato emotivo, anche se cerco, chissà quanto goffamente, di ostentare superbia. Il suo sguardo è struggente, toccante, pieno di luce che irradia. I suoi occhi sembrano dire tanto di lei, testimoniando una presenza che ha molto di raro.
Non so che fare. Se ordino un’altra partita di aperitivi lascerò per strada un po’ della mia lucidità. Anzi, temo addirittura che, forse, solo un altro sorso basterebbe per farmi perdere metà della mia capacità di arguire. E, allora niente, basta bere! Mi do un tono e scruto il “modigliani”, fuggito dalla “Perls Gallery” di New York. Come se lei avesse ascoltato il mio pensiero, prende a guardarmi divertita, o, può darsi, molto di più incuriosita, non saprei.
Ora, sono veramente in uno stato scombinato. Le sue pupille puntate addosso apertamente a lungo mi gelano il sangue. Devo riprendermi. Non si conviene a uno della mia indole apparire così indifeso. Smetto di fuggire il suo sguardo e mi offro, sfrontato, come bersaglio degli strali lanciati dalle sue occhiate.
Che sfacciata! Ha puntato i miei occhi e vuole che io fugga ancora! Eh, no! Questa volta non vado via, piccola. Ti ho guardata non so quante volte, forse migliaia, sulle pagine dei libri di storia dell’arte. Ho sempre desiderato vederti esposta. Ho ammirato in mostra buona parte dei quadri di Modigliani, ma non quello che ti ritrae. Non sono mai stato in America, io! Non c’è di che rammaricarsi, mi capita di meglio: posso guardare in vita ciò che si porge unicamente sulla tela, essendo il raffigurato, di fronte a me, esposto alla mia vista nella naturalezza delle sue pose, negli sviluppi di un momento fissato dall’arte, all’interno di un tempo reale, che decorre e si consuma. Lei è lì per svelare un mistero prodigioso, per liberare le pulsioni trattenute da un’opera d’arte, per rendere conto di una bellezza senza perché. Non è vero, chery?
E, mentre sta per annuire, con i suoi occhi nei miei, mentre sta per rivelare il più grande segreto mai contemplato da un dipinto, mentre sta per manifestarsi come soggetto animato da un pennello, giunge un signore, piuttosto lardoso, con una camicia per metà sbottonata, da cui luccica una enorme collana d’oro, grossa quanto una catena di un montacarichi!
Un villanaccio, col portafogli che gonfia esageratamente la tasca posteriore dei suoi pantaloni.
“’Nce ne jamme, sciù sciù?” – dice con tono alto e sgradevole lo zotico danaroso –
E lei, una delle donne più sensuali della storia dell’arte, la grazia più voluttuosa che sia mai stata incorniciata, la fascinazione più inesausta, lei, la donna del nudo rosso di Modigliani, senza aggiungere nulla si allontana sottobraccio a quel cafonaccio. Entrano nell’albergo che fa da angolo alla piazza. Io, sprofonderei volentieri nel mio bicchiere. Ma, è vuoto!
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