Letteratura

Quanti romanzi ci sono in un racconto di Cortázar? (Ti lascerà senza fiato)

27 Febbraio 2017

Avete presente Enrico Mucca? Ricordo ancora la sensazione di vertigine, di ottovolante sonoro, di impossibilità fisica rispetto a quello che pure era davanti ai miei occhi, anzi alle mie orecchie, la prima volta che un mio amico mi fece ascoltare gli Henry Cow. E dire che non cadevo dalle nuvole: avevo già fatto il callo alle stranezze e alle sperimentazioni del rock tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, non mi impressionavano più la musica quasi solo strumentale, i brani lunghi, le contaminazioni con la classica e il jazz e il rumorismo, l’invenzione continua, i cambi di tempo e di melodia e di timbro e di umore… Ma ragazzi, quella era un’altra cosa: era un’astronave in accelerazione supersonica verso lo spazio, era un caleidoscopio in mano a un cronopio sotto acido. Ricordo distintamente che dopo aver ascoltato i primi due minuti di Nirvana for mice sbottai: ma con tutte queste idee i Pink Floyd ci facevano dieci album! (I miei preferiti, i Pink Floyd, ma mi rendevo conto che erano capaci, anzi era questo il loro genio, di prendere un riff e mezzo e costruirci un LP intero).

La stessa vertigine, la stessa sensazione trovarmi davanti a una fantasia strabordante, quasi sprecona, l’avrei ritrovata solo ascoltando certi pezzi dei Naked City (Speedfreaks su tutti, un compendio di storia della musica in cinquantadue secondi; ma con effetto cercato, postmoderno, con intento citazionista e parodistico). Oppure leggendo Cortázar.

Torna la microrecensione, cioè la recensione (non necessariamente breve) di qualcosa di breve estratto da qualcosa di lungo: un rigo una frase una pagina una singola idea, presa da un libro. In questo caso è una microrecensione speciale, perché il cortissimo testo di Julio Cortázar si ritaglia già di per sé un’autonomia particolare all’interno della raccolta in cui si trova (Storie di cronopios e di famas, parte 1: Manuale di istruzioni), raccolta a sua volta composta da testi brevissimi e surreali, del tutto scollegati tra loro. Ma Istruzioni-esempi sul modo di avere paura è altro ancora.

E va bene, io sono fissato con le short e le flash stories, fosse per me leggerei (e proverei a scrivere) solo quello: Monterroso, Daniil Charms, Romagnoli, Lydia Davis, certi oscuri fantascientisti americani… E Cortázar, ovvio. Questo in particolare è così semplice e complesso, semplice e compresso, che lo adotterei volentieri come manifesto poetico – se lo avessi scritto io, ma lo ha scritto Cortázar, meno male.

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Julio Cortázar, un prodigio della natura. L’unico capace di far piacere un racconto su un pugile anche a quelli che il pugilato non lo sopportano per niente. L’unico capace di far piacere un racconto sul jazz anche a quelli che il jazz lo suonano per mestiere. Cortázar ha scritto molti racconti, quasi solo racconti. Tutti bellissimi. Anche se la perfezione raggiunta dalla prima raccolta resta forse inarrivata (e non gli facciamo un torto a dire così: lui stesso, che si era auto-rifiutato quintalate di materiale prima di esordire con Bestiario, teorizzava che il primo libro pubblicabile dovrebbe essere l’ultimo pubblicato).

Tre anni fa, per il centenario della nascita, Einaudi ha finalmente riunito i racconti in un volumone che sembra enorme ma si leggerebbe in pochissimo tempo, se uno non si sforzasse di centellinarlo. Così sono arrivato a rileggere le storie dei cronopios, che erano la prima cosa in cui mi ero imbattuto, nel millennio scorso (è una specie di Borges, mi aveva detto la mia amica; ogni tanto qualcuno ci prova, a propinarmi uno scrittore dicendo che è una specie di Borges; e anche se il maestro non si raggiunge, devo ammettere che così ho fatto delle scoperte interessanti).

cortborges

Così, complice il tempo lungo e la memoria corta, mi ero quasi scordato che nel libro dei cronopios, prima della parte sui cronopios ce ne sono altre tre, ancora più assurde. Jorge Luis Borges, nella prefazione a Finzioni, aveva scritto una giustificazione memorabile, per sé e per tutti i suoi futuri plagiari:

«Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in cinquecento pagine d’un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già, e presentarne un riassunto, un commentario. Così fecero Carlyle in Sartor Resartus, Butler in The Fair Haven: opere che hanno il difetto, tuttavia, di essere anch’esse dei libri, non meno tautologici degli altri. Più ragionevole, più inetto, più pigro, io ho preferito scrivere, su libri immaginari, articoli brevi».

Ma con Cortázar andiamo oltre la recensione del libro inesistente; oltre la pigrizia e l’accidia: siamo alla prodigalità assoluta, allo sperpero, alle mani bucate. Mezza pagina: il racconto di racconti. Il racconto che contiene idee a profusione, accomunate solo dall’esile filo della paura – anche se ogni spunto potrebbe essere declinato in un genere diverso: terrore, fantascienza, surreale, fantastico, splatter… Ogni paragrafo poteva diventare un racconto a sé (il primo per esempio assomiglia molto a un pezzo di Ballard, l’ultimo ricorda un’idea di Buzzati), proprio come un brano degli Henry Cow. Anzi, ogni paragrafo contiene in nuce la scintilla per un romanzo, se dato in mano a un Floyd della letteratura. Invece lo ha scritto Cortázar, meno male.

Eccolo qua, Istruzioni-esempi sul modo di avere paura:

In un paese della Scozia vengono venduti libri con una pagina bianca sperduta in un punto qualsiasi del volume. Se un lettore s’imbatte in quella pagina allo scoccare delle tre del pomeriggio, muore.

Nella piazza del Quirinale, a Roma, c’è un punto noto agli iniziati fino al XIX secolo, e dal quale, con la luna piena, si vedono muovere lentamente le statue dei Dioscuri che lottano con i loro cavalli impennati.

Ad Amalfi, nel punto in cui finisce la zona costiera, c’è un molo che penetra nel mare e nella notte. Si sente un cane che abbaia al di là dell’ultimo fanale.

Un signore sta stendendo il dentifricio sullo spazzolino. Tutto a un tratto vede, coricata sul dorso, una minuscola immagine di donna, di corallo o magari di mollica di pane colorata.

Aprendo l’armadio per prendere una camicia, cade un vecchio calendario che si disfa, si sfoglia, copre i tessuti bianchi con migliaia di sporche farfalle di carta.

Si è venuto a sapere di un commesso viaggiatore al quale cominciò a dolere il polso sinistro, proprio sotto l’orologio. Quando si strappò via l’orologio, il sangue schizzò: la ferita mostrava il segno di denti acuminatissimi.

Il medico sta finendo di visitarci e ci tranquillizza. La sua voce profonda e cordiale precede le medicine la cui ricetta ora scrive, seduto al suo scrittoio. Ogni tanto alza la testa, sorride e ci infonde coraggio. Non è niente, in una settimana tutto tornerà a posto. Ci sistemiamo comodamente nella poltrona, felici, e ci guardiamo distrattamente attorno. Tutto a un tratto, nella penombra sotto lo scrittoio, vediamo le gambe del medico. Si è alzato i pantaloni fino alle cosce, e ha calze da donna.

 

(In collaborazione con Per tutto il resto c’è facebook)

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