Letteratura

Quando l’ottusità oscura l’arte

25 Luglio 2024

La casa editrice Eretica propone una selezione di lettere che James Joyce (Dublino1882-Zurigo1941) indirizzò nell’arco di una trentina d’anni ai suoi corrispondenti durante le tormentose vicende editoriali che per motivi di censura ostacolarono la pubblicazione dei suoi libri Dubliners e Ulysses: Non posso scrivere senza offendere le persone. I racconti dei Dubliners patirono nove anni di continui rifiuti, richieste di revisione, polemiche, prima di venire finalmente pubblicati nel 1914 dall’editore Grant Richards: si temevano accuse di antipatriottismo e di oscenità da parte dei lettori e delle autorità irlandesi. Per Ulysses, invece, le circostanze assunsero da subito un’altra piega, in quanto Joyce si era nel frattempo fatto conoscere come autore di rilievo, ottenendo il plauso e il sostegno di importanti intellettuali come Ezra Pound, per cui interi brani del romanzo iniziarono a uscire su influenti riviste letterarie, nonostante la continua minaccia di sequestri, finché nel 1921 negli Stati Uniti il testo finì sotto processo e venne condannato per oscenità, e ne fu interrotta la pubblicazione anche in Inghilterra. Soltanto grazie al coraggio della casa editrice parigina Shakespeare & Co., il libro uscì in Francia nel 1922. Tuttavia, bisognò attendere il 1933 perché Ulysses fosse liberato dall’accusa di oscenità e potesse venire diffuso nel resto del mondo. Nella conservatrice Irlanda, il capolavoro joyciano iniziò a circolare liberamente solo negli anni ’60, quando il suo autore era ormai morto da vent’anni.

Le lettere presentate in questa raccolta sono state tradotte dagli originali pubblicati nel 1957, nel 1966 e nel 1975. Ognuna di esse è preceduta da data, luogo di invio e nome del destinatario, ed è accompagnata da notizie sugli eventi, i luoghi, le persone e le opere menzionate. Inoltre nell’Appendice possiamo leggere le traduzioni con originale a fronte di Gas from a Burner, poemetto satirico del 1912 ispirato alla vicenda della pubblicazione dei Dubliners, e l’episodio di Nausicaa dell’Ulisse, incriminato negli anni ’20. L’epistolario si apre con una prima lettera, datata 26 aprile 1906 e inviata da Trieste all’editore Grant Richards, e si chiude il 31 luglio 1934, con un biglietto spedito da Anversa al fratello di Joyce, Stanislaus. Tra i destinatari delle missive troviamo nomi famosi (Italo Svevo, T.S. Eliot), ma prevalgono comunque gli editori con cui il grande letterato dovette combattere per tutta la sua esistenza. Si difendeva con veemenza, talvolta usando toni sarcastici o irosi, accusando i corrispondenti più retrivi di clericalismo o di mentalità militaresca: “Ho scritto il mio libro con notevole cura, nonostante mille difficoltà e coerentemente con quella che ritengo essere la tradizione classica della mia arte… Non posso fare più di questo…  Non posso modificare ciò che ho scritto… Non sono un emissario di un Ministero della Guerra che sperimenta un nuovo esplosivo…  Non ho tuttavia detto quale delusione sarebbe per me se non potessi condividere le mie opinioni”. Succedeva che fossero addirittura i tipografi a rifiutarsi di stampare i testi, ergendosi a censori e difensori della pubblica moralità: in un caso venne rimproverato allo scrittore l’uso del termine “dannato” in quanto violento e disdicevole.

James Joyce era assolutamente fiero della propria produzione, e ne menava vanto: “Ho fatto il primo passo verso la liberazione spirituale del mio paese”, attaccando anche la mediocrità della sua città natale: “La mia intenzione era quella di scrivere un capitolo della storia morale del mio paese e per la scena ho scelto Dublino perché quella città mi sembrava il centro della paralisi”. Arrivò spesso a minacciare azioni legali sia contro gli editori inadempienti del contratto, sia contro le pubblicazioni clandestine e piratesche: altre volte si dichiarò disposto a contribuire alle spese di stampa pur di vedere pubblicati i suoi lavori, in cui giustamente credeva moltissimo. I più noti letterati dell’epoca firmarono per solidarietà la sua denuncia contro i soprusi editoriali di cui era vittima: tra gli altri Benedetto Croce, Albert Einstein, T.S. Eliot, André Gide, Ernest Hemingway, D.H. Lawrence, Thomas Mann, Luigi Pirandello, Bertrand Russell, Italo Svevo, Virginia Woolf, W.B. Yeats.

A proposito di Dubliners, rifiutato da quaranta editori, Joyce scriveva “Il libro mi è costato tra spese legali, di viaggio e postali circa 3000 franchi: mi è costato anche nove anni di vita. Ero in corrispondenza con sette avvocati, centoventi giornali e diversi letterati a riguardo — i quali tutti, tranne il Sig. Ezra Pound, si rifiutarono di aiutarmi… Una persona molto gentile acquistò l’intera edizione e la fece bruciare a Dublino: un autodafé nuovo e privato”.  Si vendicò anche in versi contro l’ottusità cattolicamente becera dei suoi connazionali: “O Irlanda mio primo e unico amore / Dove Cristo e Cesare sono culo e camicia!”

L’appassionata postfazione del volume, per firma di Sofia Cavazzoni, ci restituisce l’atmosfera claustrofobica e persecutoria che ha circondato e preso di mira le pubblicazioni dei capolavori joyciani, ricostruendo puntualmente tutte le vicissitudini editoriali che le hanno accompagnate per mezzo secolo.

 

 

JAMES JOYCE, NON POSSO SCRIVERE SENZA OFFENDERE LE PERSONE

Lettere contro la censura (1906-1934), a cura di Andrea Carloni. Postfazione di Sofia Cavazzoni

ERETICA EDIZIONI, BUCCINO (SA) 2024, p. 120

 

1 Commento
  1. Le disavventure editoriali di Joyce – come quelle del suo amico Italo Svevo – dimostrano solo di quanta cattiveria, ignoranza, bassezza morale possano essere infette anche persone che si reputano intelligenti e sensibili.

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