Letteratura
Quando la finzione sconfina nella realtà, anzi la crea
Raffaele Alberto Ventura esplora i confini incerti e autocontaminantisi tra finzione e realtà
Raffaele Alberto Ventura – Incanto. Sul potere delle finzioni– Einaudi 2024.
È appena uscito solo in ebook ossia in formato digitale, diremmo anche virtuale visto che non ha consistenza fisica (come ce l’ha un libro nella sua cosalità) il libello di Raffaele Alberto Ventura.
“Incanto: sul potere delle finzioni” di Raffaele Alberto Ventura è un saggio che esplora l’influenza delle finzioni sulla realtà. L’autore analizza come narrazioni, miti e rappresentazioni simboliche possano modellare comportamenti e percezioni collettive.
Ventura esamina vari ambiti, dai riti primitivi alle utopie politiche, dalle arti magiche al teatro, fino alla cultura pop contemporanea, per dimostrare che le finzioni non sono innocue, ma costituiscono un motore segreto della realtà. Ad esempio, dopo la pubblicazione nel 1774 del romanzo “I dolori del giovane Werther” di Goethe, si diffuse in Europa un’ondata di suicidi emulativi, evidenziando l’impatto profondo che una storia può avere sul comportamento umano.
Invero sono molti altri i casi indagati da Ventura in cui l’incanto (ovvero la finzione artistica, l’artefatto, il virtuale), si contrappone al vero, interagisce col reale, travolgendolo e alla fine determinadolo. Ciò a partire dagli Stati Uniti nati sotto la spinta immaginaria dei Padri Pellegrini con la testa infarcita di visioni e ossessioni bibliche. Gli Stati Uniti perciò «Sono una finzione che è diventata realtà».
Goethe scriveva, nel suo prologo al Faust, che: «In principio era l’azione». «Potremmo rovesciare la sua sentenza: in principio c’è sempre un’immagine o un racconto da imitare.» Chiosa Ventura.
Singolare il caso di “Gomorra” di Saviano (e del successivo film di Garrone) nato con le migliori intenzioni come libro di denuncia ma che finisce stravolto in quelle intenzioni dalla realtà camorristica che si ispira direttamente alla finzione, replicandone stili, posture, visioni. Non è l’arte che si ispira alla realta ma è la realtà che si ispira all’arte, col risultato che vero e finto si fondono e si confondono. Stupefacente l’esito rimarcato da Ventura secondo il quale
«a forza di racconti romanzati, messe in scena di racconti romanzati con attori reali, emulazioni reali di messe in scena di racconti romanzati, parodie di emulazioni reali di messe in scena di racconti romanzati, emulazioni di parodie di emulazioni reali di messe in scena di racconti romanzati, distinguere la realtà dalla finzione risulta spesso impossibile.»
Altri esempi Ventura, a partite dai film di Tarantino, adduce in cui la finzione tende spontaneamente a tracimare nella realtà, fino a modificare gli statuti stessi, ontologici, potremmo dire della realtà medesima che a questo punto – con l’azione dell’arte sulla realtà e della reazione o contro-azione della realtà sull’arte – appare un impasto di fintovero e verofinto di cui è impossibile definire i netti confini.
Il saggio invita a riflettere sulla potenza creatrice e incantatoria dei segni, suggerendo cautela verso ciò che immaginiamo, poiché potrebbe realizzarsi.
Infine c’è un capitoletto che mi riguarda personalmente. A significare la confusione tra realtà e finzione Ventura tratta della vita e dell’opera di Elia Spallanzani, profilo totalmente inventato da burloni della Rete che nei primi anni duemila lo diffusero come un malicious malware a infettare la realtà seppure virtuale della neonata internet di massa. Ricevetti anch’io tra il 2007 e il 2010 un “con preghiera di pubblicazione” questo profilo di Spallanzani che pubblicai nel vecchio sito dismesso ma fortunatamente indicizzato dai generosi yankee di Archive.org al seguente link. urly.it/313cq7 La mia generosità resiste tuttora, grazie a una folle ingiunzione illuministica, alla divulgazione rivolta a tutti anche a esimi sconosciuti (e ora, apprendo, inesistenti) come Elia Spallanzani.
Chiudo con un delizioso sonetto in cui tutta la tematica di Ventura è raccolta da un autore, in genere lezioso (Alfieri lo voleva prendere a calci per come s’era venduto alla corte austriaca) ma qui davvero geniale: Pietro Metastasio.
Sogni, e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole, e sogni orno, e disegno,
io lor, folle ch’io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango, e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m’inganna l’arte,
piú saggio io sono? È l’agitato ingegno
forse allor piú tranquillo? O forse parte
da piú salda cagion l’amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch’io canto, o scrivo,
favole son; ma quanto temo, o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
fa ch’io trovi riposo in sen del Vero.
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