Letteratura
Qualcosa di naturale: una recensione con intervista ad Alex Ezra Fornari
Un romanzo che contiene tanti romanzi, un sapiente mosaico di esistenze, costruite in un racconto corale, che restituisce al lettore non solo il percorso biografico del protagonista, ma una storia collettiva, mediata da singole esperienze.
“Qualcosa di naturale”, ultimo romanzo di Alex Ezra Fornari, edito da Wojtek, si compone di due parti, quasi perfettamente distribuite, fra infanzia, tarda adolescenza, prima età matura e poi, con un importante stacco temporale di diversi anni, la piena maturità.
Speranze, sogni, desideri di un’esistenza in formazione e la consapevolezza dell’età adulta, il rimescolarsi delle certezze, fra percorsi intrapresi e interrotti, legami familiari allentati, amicizie abbandonate e poi ritrovate. Samuele, il protagonista, vive la sua infanzia in un quartiere popolare, in cui le giornate sono scandite dai ritmi lavorativi della vetreria, e dove la musica, gli amici, la scrittura rappresentano un appiglio al bello, a una promessa di qualcosa di diverso per il domani. Una famiglia non convenzionale e un precoce senso di ribellione verso le ingiustizie lo accompagnano nella crescita, fino all’incontro con Monica, di cui si innamora e che proviene da un contesto sociale, da un mondo completamente diverso.
Monica e la sua famiglia rappresentano il benessere, un benessere però che plasma, impone le sue regole e, con tratti paternalistici, cerca di emancipare Samuele da sè stesso, dalla sua storia personale, da ciò che è. Spinto da queste nuove relazioni studia, si iscrive all’università, cercando sempre di mantenere però, o almeno illudendosi di poterlo fare, un legame essenziale con le sue radici, con ciò che si porta addosso, materialmente e spiritualmente.
La vita si afferma su di lui e il lettore lo ritrova, anni dopo, solo, lontano dal suo vecchio mondo e distante da quello nuovo: moglie e figlie distanti, il bisogno di recuperare la sua identità, il senso del procedere nella vita. Torna al quartiere, dove ritrova gli amici di un tempo e Sara, la sua ex ragazza, ma questo ritorno non rappresenta la soluzione al suo isolamento. Le domande anzi si fanno più pressanti, l’analisi di ciò che è stato, il bilancio di una vita ormai vissuta a metà.
Con uno stile tagliente, costruito attraverso una prosa essenziale e un linguaggio che mescola gergo colloquiale a uno stile più ricercato, in descrizioni mai accessorie, Fornari ci accompagna in un intimo viaggio personale, che è però allo stesso tempo generazionale, collettivo, di un mondo che si è allontanato dalle origini in un percorso di supposto miglioramento e che si trova a fare i conti con la mancanza di riferimenti identitari.
Un romanzo che spinge il lettore a riflettere sul concetto di tradimento e di fedeltà, verso gli altri certo, la propria famiglia, gli amici, la comunità di origine, ma anche e soprattutto verso sè stessi, per i compromessi accettati in nome di un cambiamento forse davvero mai desiderato. La domanda esistenziale si impone anche attraverso l’uso di un linguaggio comune, diretto, quello praticato da chi affronta la vita senza edulcorarla e viene rilanciata al lettore, restituendogli l’esigenza di una pausa, nel vortice degli impegni quotidiani, che consenta di fare il punto sul proprio percorso, su ciò che davvero definisce la sua identità, su ciò che invece si è depositato nel tempo, spesso inconsapevolmente, andando a costruire una maschera che rischia di soffocare il suo io più intimo.
Un romanzo che esprime il bisogno, immortale e sempre presente nell’individuo, di dare un senso alla propria esistenza, al di là dei singoli “accidenti” che avvengono nello scorrere degli anni.
Ne abbiamo parlato con l’autore Alex Ezra Fornari in una breve intervista.
“Qualcosa di naturale” è un romanzo che affonda le sue radici nel passato e mescola diverse fasi della vita del protagonista in un percorso di “formazione”, che è scoperta e riscoperta della propria identità, fatta di desideri, di contraddizioni, di continua metamorfosi.
Come nasce il personaggio di Samuele e quanto hai attinto a storie personali di vita nella costruzione del racconto?
Una dozzina di anni fa avevo due blog letterari, Seth Belavoure, sul quale pubblicavo short stories, e Cyanic Fane, dove mi ero inventato una sorta di storia parallela e sotterranea dei Pale TV, band post-punk che avevo fondato nel 1980: l’idea era quella che i Pale TV fossero stati un gruppo di facciata per diffondere gli scritti e le idee di Aureliano, Marzio e quello che là chiamavo “il circonciso”, gli Haz Mat di “Qualcosa di naturale”, band scomparsa misteriosamente anni prima e che aveva lasciato note, testi e registrazioni ad Alex dei Pale TV. Aureliano comunicava con micro testi, Marzio attraverso nastri registrati. Erano loro due a raccontare gli eventi. La voce del circonciso, il Samuele del romanzo, la ascoltiamo solo ora. A lui ho prestato qualche ricordo e i miei morti, con quelli gli ho chiesto di narrare una storia nuova, che mi stupisse, che mi chiudesse la gola per poi farmi tornare a respirare, che mi commuovesse.
La vita di Samuele potrebbe essere definita come non convenzionale. Uno spazio altro, diverso da quello che il lettore medio potrebbe sperimentare nel quotidiano. Eppure ci sono nessi essenziali che emergono e interrogano durante la lettura e costringono a fare i conti con un bilancio su quella che è la propria esistenza. Ci puoi raccontare qualcosa della costruzione dell’opera, del lavoro preliminare che sicuramente ha comportato e farci entrare “nell’officina” dell’autore?
Il dolore, credo sia universale. La crisi e le domande di Samuele riguardano tutti, indipendentemente dal tipo di vita che abbiamo scelto di vivere. Il biblico Aiyeka?, ‘dove sei?’, dove sei esattamente adesso, cos’hai fatto fin qui e cosa stai facendo della tua esistenza è una domanda che dovremmo farci ogni sera. Quando nell’autunno del 2018 ho iniziato a scrivere il romanzo avevo in mente due corsi d’acqua affiancati che di tanto in tanto confluivano l’uno nell’altro: lo scheletro narrativo di “Qualcosa di naturale” e quel “Libro dei Veri Vivi e dei Morti” che Samuele spesso cita e che resta note sparse, appunti, versi. Due fiumi che a un certo punto ho deciso di far scendere nel sottosuolo, lasciando Samuele nel deserto del proprio matrimonio, negandogli la navigazione e chiedendogli di proseguire a piedi alla ricerca del punto esatto in cui l’acqua sarebbe tornata a scorrere.
Parte prima e parte terza: avevo inizialmente pensato di siglare così le due parti. Forse è quella parte centrale non scritta, il vero romanzo. Forse è proprio in quei quindici anni di cui Samuele poco ci racconta che più gli assomigliamo.
La solitudine è co-protagonista di questo romanzo, una presenza silenziosa e costante. Che valore ha per te, oggi, nel contesto iperconnesso in cui viviamo, la solitudine sociale, che sia reale o solo intimamente percepita?
Qualche giorno fa a Napoli, durante la presentazione del libro, si è parlato di un graduale, diffuso, ritorno alla spiritualità. Quella naturale, e solitaria, che ci mette in contatto diretto con quel qualcosa molto più grande di noi che io chiamo Dio. Fosse solo questo, la solitudine sarebbe una cosa davvero preziosa. Ma non tutti, per mille ragioni e problemi diversi, riescono ad avvertirne la parte confortevole e calda. Si ricerca allora calore nel virtuale: amici che non hai mai conosciuto, il mi piace di qualcuno che non incontrerai mai, il cibo e gli arredi degli altri, le loro vacanze, i loro animali domestici. Mostrarsi agli altri nello stesso modo, il meglio di te in uno, due, tre scatti. Credersi meno soli è la nuova solitudine. Percepirsi parte di una comunità di gente sola rende meno fioca l’illuminazione della tua stanza il sabato sera. In quanto a me, scrivere è tra le attività la più solitaria. Lo scrittore deve saperne godere e soffrire, solo così può essere sincero.
Lo stile di questo romanzo è tagliente, essenziale, diretto. Hai dei modelli letterari a cui ti sei ispirato?
I maestri che ho avuto mi hanno insegnato, come ogni vero maestro, a usare la mia voce. Potrei citare autori immensi che ho amato e sui quali mi sono formato, ma sono soli e stelle molto distanti dalla lingua di questo romanzo.
Hai altri progetti in cantiere in questo momento?
Nella primavera del 2020, appena terminata la stesura di “Qualcosa di naturale”, mi sono messo al lavoro su “Uri”, un secondo romanzo che ho ultimato da pochi mesi. Volevo che all’uscita di “Qualcosa” esistesse già una seconda opera nata in totale libertà, completamente priva di influenze esterne. Al momento sto facendo ricerca e prendendo i primi appunti per una nuova idea, un monumentale romanzo di un milione di pagine su violenza e cattiveria.
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