Letteratura

Presenze alate nella poesia di Jon Fosse

L’antologia poetica di Jon Fosse “Ascolterò gli angeli arrivare” mette in luce un lato poco noto della produzione letteraria del Premio Nobel norvegese.

20 Marzo 2025

 

Risultato immagine per jon fosse

 

Nella motivazione del Premio Nobel assegnato a Jon Fosse nel 2023, leggiamo: “per i suoi drammi e la prosa innovativi che danno voce all’indicibile”. Nato nel 1959 a Haugesund, Fosse crebbe a Strandebarm, un piccolo villaggio adagiato lungo il maestoso fiordo Hardanger, in una famiglia di fede pietista. L’intera sua opera rimane ancorata al Vestland, la costa orientale della Norvegia, al suo clima freddo e grigio, ai paesaggi incontaminati, al mare e alle campagne aperte, alla vegetazione. Se la sua produzione più nota è quella narrativa e teatrale, anche alla poesia sono stati riservati spazi creativi che hanno accompagnato costantemente la sua scrittura, a partire dal 1986 fino al 2016, con un totale di nove raccolte. L’editore Crocetti ha pertanto ritenuto opportuno illuminare questo suo lato creativo rimasto un po’ in ombra, soprattutto in Italia, pubblicando un’antologia di liriche con il titolo Ascolterò gli angeli arrivare. Secondo Andrea Romanzi, che scrive un’intensa prefazione al libro ricostruendo le varie fasi della carriera letteraria di Fosse, l’autore norvegese ha sempre insistito nell’esperienza paradossale e faticosa di voler “comunicare l’incomunicabile”. Incomunicabile e indicibile si possono intuire solo uscendo da sé, sospendendo il proprio io in una dimensione trascendentale, capace di attivare risonanze emotive non rilevabili razionalmente, che vengono fatte emergere da insondabili alterità. Presenze angeliche, forse? Jon Fosse ci spera, o meglio, ci crede.

La sua versificazione, nel corso di decenni, non è mutata nella forma: rimane scarna, priva di punteggiatura, franta in continue pause sottolineate da spazi bianchi, segnata dalla ripetizione costante di parole o intere frasi. Invece è cambiata molto nei contenuti, che si scorporizzano, smaterializzandosi in atmosfere oniriche, non sempre rasserenanti, sospese in una progressiva riduzione di significati. Nelle prime raccolte, fino all’inizio del nuovo secolo, prevalgono le memorie dell’infanzia, visualizzate concretamente in immagini oggettive di cose, ambienti, facce, gesti con una prevalenza di particolari realistici e di un linguaggio quotidiano che spesso mima i refrain delle canzoni: “Mia madre ha / il vento in secchi di plastica arancioni. Lava / il pavimento con movimenti esperti. Mio padre / tiene la testa sotto il braccio e fischietta / alle stelle”, “Fiori morti in un vaso sbeccato / sul davanzale della finestra. Mosche / morte contro vernice bianca sfogliata // Una donna anziana è seduta su una sedia da campeggio / e lavora a maglia, con indosso un grembiule a fiori // Un motore fuoribordo sfreccia tra le grida dei gabbiani”, “Cammina e cammina / e tutti i morti sono con noi / anche i morti camminano e camminano / dentro di noi / cammina e cammina”.

Ascolterò gli angeli arrivare. Testo originale a fronte

Assolutamente diverso è il clima in cui si muovono le poesie più recenti, che vedono l’autore interrogarsi sulla propria funzione e addirittura sulla stessa esistenza, sua e del mondo, mentre la realtà intorno sfuma, sottraendosi a ogni rappresentazione fattuale: “se sono io che scrivo / allora c’è un io che, ogni singola volta, è diverso, perché / nei movimenti della scrittura c’è sempre / un io che scrive e questo io / non sono io oppure forse sono io / ma questo io è così diverso di volta in volta / da non poter essere io”, “È così che penso // E poi penso / che / quando io sono / e quando non sono / allora sono qui / e allora non sono qui / E finora non sono stato qui”. Prevale la lingua dell’inconscio, che segnala un’ incapacità espressiva, una mancanza di fiducia nella possibilità di farsi capire: domina allora l’indicibile rimarcato dai giurati del Nobel, il tentativo di raccontare l’assenza, l’ombra, il silenzio, ciò che rimane dopo la morte, l’impalpabile presenza dei defunti o di messaggeri incorporei: “Camminano // Sanno qualcosa / e non possono dire agli altri che cosa sanno //  Camminano / e si fermano raramente // Chi sono / nessuno può dirlo / ma camminano / e camminano”, “tutto era semplicemente presente / chiaro e luminoso / come un giorno senza notte / come una vita senza sonno”, “Nella vita ha conosciuto la morte / e nella morte ha conosciuto l’eterno / sorrideva mentre noi piangevamo / e poi non c’era più // l’anima bella è adesso un cielo”. L’immagine del camminare verso l’ignoto, che tuttavia si prefigura luminoso, viene ribadita ossessivamente (“E camminiamo / fieri / nell’oscurità reciproca / luminosi come angeli / in ognuno di noi un angelo doppio / immobile nella sua scissione / ed evidente / come luce nera”), in una auspicabile trasformazione, o levitazione, spirituale: “Ma gli angeli mi traggono ogni giorno fuori / dalla mia pietrificazione / nello splendore e nella pietrificazione / Il mio movimento / non è minaccioso / La gioia è senza gioia // Per tutto posso ringraziare gli angeli”.

Se queste composizioni non raggiungono il livello espressivo e stilistico della produzione in prosa di Jon Fosse, tuttavia aiutano il lettore a meglio comprendere il suo mondo interiore, e bene ha fatto dunque Crocetti ad antologizzarle per il pubblico italiano.

 

 

JON FOSSE, ASCOLTERÒ GLI ANGELI ARRIVARE – CROCETTI, MILANO 2024, p. 216

Traduzione e cura di Andrea Romanzi
Immagine di copertina di Tom A. Kolstad, free commons

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.