Letteratura
Preghiera del mare: una non recensione
Questa non è una recensione.
Fare letteratura è un atto politico. Scrivere, disegnare sono atti politici, ma lo è anche e soprattutto decidere cosa e come pubblicare. Viviamo tempi bui, un’epoca in cui sembra sempre più difficile provare empatia, confrontarsi – anche senza comprendere, ma col semplice sentire – con qualcosa di umano che ci accomuna tutti quanti, al di là della provenienza geografica, dell’estrazione sociale, del credo religioso. Costantemente immersi in un universo ego regolato, a nostra personale immagine e somiglianza, non riusciamo a decifrare il mondo se non attraverso le nostre esperienze vissute. Quante volte manchiamo di capacità di astrazione? Anche chi parla di valori non è esente da questa tendenza. Abbiamo a disposizione un potenziale infinito d’informazioni, conoscenze che ci potrebbero permettere di andare ben oltre l’ordinario chiacchiericcio, ma manchiamo della molla che ci spinge verso la conoscenza: il desiderio di contatto con l’altro, che sia un mondo, un oggetto, una persona. E poi non abbiamo tempo. C’è sempre qualcosa di pià urgente a cui dedicarci e questa urgenza costante ci spinge a rimanere sulle nostre posizioni: sicure, definite.
Riuscire a far emergere un elemento di empatia, arrivare all’animo del lettore in maniera immediata, senza ricorrere a riferimenti culturali, valoriali, morali, senza puntare alla bontà del ragionamento – quando il ragionamento non occorre – non è cosa da poco. Ancor più difficile riuscire nell’impresa nello spazio contenuto di una breve pubblicazione. Preghiera del mare di Khaled Hosseini riesce nell’impresa. Pochissime parole, illustrazioni evocative che, quasi con pudore, accompagnano il testo senza valicare mai il confine di un eccessivo patetismo, ma soprattutto la semplicità di chi parla rivolgendosi a un bambino vero. Non all’immagine costruita di un bambino, né all’infanzia provata dalla guerra che, strappa forse una lacrima di commozione, ma risulta lontana dalla nostra esperienza. Un padre scrive e prega. Racconta al figlio che cos’era il calore di una casa che, troppo piccolo, non può richiamare alla memoria. Parla di lezioni impartite non in classe, ma dalla guerra. Invoca, con l’assoluta fede di chi non può che fare appello a una forza superiore sentendosi impotente, la protezione del cielo e del mare. Rassicura, protegge come può, conforta, spera. Fa quello che qualunque padre farebbe per il proprio figlio e lo fa con tutta la semplicità di un legame emotivo profondo che non ha bisogno di spiegazioni.
Preghiera del mare può essere letto da un figlio e da un padre, da un nonno, da chi crede di essere grande per i libri illustrati e figli non ne ha. Preghiera del mare dovrebbe essere letto a scuola, sopratutto, in classe, dove si gioca davvero la speranza di una formazione che vada al di là della semplice educazione. Soprattutto oggi.
Questa non è una recensione, ho premesso, ma una riflessione. Sem editore ha compiuto un atto politico con questa pubblicazione. Nella forma breve, la sola che in questo momento possa riavvicinare quel pubblico di mancati lettori (in Italia più del 50% della popolazione non legge nemmeno un libro l’anno) al testo stampato, con una curatissima veste formale e grafica, ha dato spazio a un racconto che non permette replica. Nel chiassoso vociare di puro opinionismo su sbarchi, naufragi, centri di accoglienza, migrazioni, il libro di Hosseini ci ricorda che siamo tutti semplicemente figli di madri e padri che ci hanno permesso di crescere. E che questo privilegio, quello di poter veder crescere i propri figli, a molti genitori non è concesso, nonostante tutti gl’infiniti sforzi e sacrifici che possano essere disposti a compiere.
K. Hosseini, Preghiera del mare, Sem, 2018.
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