Letteratura

Pranzo di magro dal cardinale

16 Febbraio 2019

La vicenda si svolse nel 1904, in piena “Questione romana”.

Papa, regnante da appena un anno, era Pio X un conservatore, rigido sul piano dottrinario, che tuttavia guardava con giusto realismo l’evolversi della situazione italiana.

Tutto avvenne in occasione della visita ufficiale di Vittorio Emanuele III, re d’Italia, a Bologna.

Dal cerimoniale regio venne inviato un invito personale all’arcivescovo di Bologna, cardinale Domenico Svampa, per il pranzo ufficiale alla presenza del re.

Il cardinale, nonostante il vecchio di partecipazioni divieto dovuto al fatto che la Chiesa non riconosceva il nuovo regno, si mostrò lusingato dall’invito ma, per dovere d’obbedienza, chiese l’autorizzazione al Papa certo che avrebbe avuto una risposta negativa.

Con grande sorpresa, la segreteria di Stato rispose in modo positivo.

A questo punto tutto sembrava spianato, Svampa avrebbe partecipato al pranzo con il consenso del Papa.

Ma, all’improvviso, un nuovo dubbio si insinuò nella mente del cardinale.

Quel pranzo si svolgeva di venerdì e, come è noto a chi ha pratica cattolica, il venerdì è giorno di penitenza per cui al credente s’imponeva un pranzo sobrio e “di magro”.

Ecco, dunque, la scusa buona per sfuggire all’impegno.

La segreteria dell’arcivescovo fece sapere al cerimoniale reale che sua eminenza non avrebbe potuto partecipare per non imbarazzare i commensali.

Tutto risolto? Macché.

La risposta del cerimoniale regio, con prontezza anche questa inaspettata, comunicava a Svampa che Sua Maestà stessa, rispettoso della tradizione, aveva previsto che si servissero due menù, uno dei quali di “magro” per gli ospiti che gradissero osservare il quasi digiuno del venerdì. Nella nota si aggiungeva inoltre che lo stesso sovrano avrebbe scelto il menù del digiuno.

A questo punto per il cardinale non c’era scampo.

Si rassegnò dunque a partecipare alla cerimonia nella quale godette di essere trattato con tutti gli onori che si convenivano ad un principe della Chiesa.

Tutto sembrava andare per il meglio ma ecco un nuovo problema.

Sotto il palazzo dove si svolgeva il pranzo, si era radunata una piccola folla per omaggiare il sovrano e il re, sensibile a quell’atto di devozione, decise di affacciarsi al balcone per salutare la gente.

Ma, per atto di cortesia chiese all’arcivescovo di affacciarsi anche lui al balcone.

Grande imbarazzo per sua eminenza Svampa che sapevo di non potere essere scortese ma che, allo stesso tempo, si rendeva conto del significato politico che avrebbe potuto avere quell’affacciarsi al balcone accanto al re.

Forse maledicendo in cuor suo di essersi risolto a partecipare al pranzo, il cardinale arcivescovo sentì tuttavia di dovere obbedire al dovere di ospitalità e si rassegnò a seguire il re al balcone per salutare la folla.

Re e Chiesa, fino ad allora nemici, per un involontario corso delle cose, si erano, dunque, venuti a trovare l’uno accanto all’altro in quel venerdì di festa.

Questa storia, raccontata con fine ironia da Giulio Andreotti in “Pranzo di magro per il cardinale” – un vecchio libro che consigliamo ai lettori di gusto raffinato –  è uno dei tanti esempi dell’imbarazzante situazione nella quale Stato e Chiesa si trovarono a seguito della “Questione romana”.

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