Letteratura
‘Popoff’ di Graziano Gala è un tributo alle infanzie perdute
Chi è Graziano Gala? E chi è Popoff? Gala è un inventore di mondi linguistici. L’ho conosciuto e apprezzato con il suo precedente romanzo, pubblicato sempre per i tipi di Minimun Fax, intitolato ‘Sangue di Giuda’. Adesso, con questo nuovo romanzo, ho potuto apprezzarne la capacità di resa stilistica, articolata in un fraseggio in ottonari in prosa che è la prima volta che incontro in un libro. Nel suo precedente romanzo, Gala gioca con una lingua napoletana reinventata, riuscendo a imporsi all’attenzione del pubblico per il modo in cui ha saputo affrontare il tema della marginalità. E chi Popoff? Questo ce lo racconta direttamente Gala, in un post di Facebook. Popoff è un personaggio che l’autore ha aspettato tanto e che ha sperato non arrivasse mai. E quando l’ha visto è scappato a gambe levate: nelle stanze piene di gente, in tutti i posti pieni di rumore, in tutte le strade affollate. Popoff, però, ha seguito il suo autore ovunque e lo ha aspettato sempre, ché quello che voleva poteva valere una vita e che il tempo necessario a rimetterlo in scena importava niente.
Il primo incontro con Popoff avviene a notte fonda, quando alla porta di Cimino, un vecchietto strambo e un po’ smemorato, bussa un bambino che nessuno ha mai visto prima e che sembra essersi materializzato dal nulla. Il bambino indossa un corbacco e ha un nome che nella sua onomatopea significano ‘sparire, scomparire’ e con il viso protetto da una sciarpa, e imbacuccato in vari strati di giubbotti, ha una sola domanda per Cimino: «Mi scusi, signore, ha visto per caso mio padre?». Nel paese del bambino il cibo scarseggia e vecchi rancori mai sopiti sono sempre sul punto di eruttare in tragedia, antiche ingiustizie attendono di essere vendicate e gli abitanti diminuiscono giorno dopo giorno a causa di misteriose lettere di espulsione. Senza un nome e senza una casa, il bambino – ribattezzato Popoff – sa che i genitori sono lì da qualche parte e con l’aiuto dei pochi disposti a dargli una mano è determinato a trovarli.
Lo stile di questo romanzo è estremamente curioso e ambizioso dal punto di vista della metrica. È scritto alternando ottonari, gruppi di otto sillabe articolate in prosa, a settenari e novenari, dando un ritmo quasi ipnotico alla lettura. Elemento curioso, che per lettori meno avvezzi a questo tipo di scrittura potrebbe essere anche un limite. E torna anche l’uso del dialetto, a cui l’autore ci ha già abituato con le sue precedenti opere, confinato però nei dialoghi, unica parte del testo in cui il ritmo in ottonari di scioglie in prosa libera. Scelte coraggiose entrambe, perché nella narrativa contemporanea l’uso della metrica e in parte del dialetto è elemento con cui solo pochissimi autori decidono di confrontarsi. Nella trama del libro emergono varie figure con cui il bambino avrà a che fare una volta rimasto orfano del suo nome. Quelle di riferimento, quelle protettrici sulla sua fanciullezza, sono Cimino, il vecchio che incontriamo nell’incipit dall’altra parte della porta a cui Popoff bussa, e Don Ato, il parroco a cui Cimono si rivolgerà per avere consiglio sul da farsi. Dopo di loro, tutto il resto del mondo e del paese sembra avere solo intenzioni ostili nei confronti del bimbino che da quel mondo brutto brutto deve solo scappare.
L’intenzione di Graziano Gala è chiara: è quella di riscattare il dolore innocente dell’abbandono e, allo stesso tempo, quella di rivendicare il suo odore linguistico. Un abbandono che diventa fiaba e nel gioco fiabesco dei neologismi, e dei tanti mondi inventati dall’autore, da quell’abbandono il personaggio trae forza per superare un dolore troppo giovane. Un odore che è quello della filastrocca, delle storie in cui tutti i mostri di potevano sconfiggere. Un odore che è fatto di una lingua che Graziano Gala sta cercando già dalle sue prime opere. Un odore che può piacere o non piacere, ma che l’autore è deciso a tenersi a tutti i costi, perché, come ha rivelato al sito Satisfiction “è l’odore di mia madre, della gente con la quinta classe, della fame”. Perché, sostiene Graziano Gala, anche con la lingua si può provare a riscattare chi ha sofferto.
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