Letteratura

Polpette: la letteratura in un boccone. Intervista a Jacopo Masini

16 Febbraio 2021

Piccole storie, scatti fotografici che aprono, per un istante, una finestra sul mondo, per poi lasciare al lettore il compito di uscire e andare a vedere il panorama oppure richiuderla. Polpette e altre storie brevissime, la raccolta di racconti brevissimi di Jacopo Masini, potrebbe essere definito un mosaico corale di storie, un dipinto di Hieronymus Bosch di cui lo spettatore può apprezzare la visione d’insieme o il singolo dettaglio. C’è la storia surreale, il racconto di vita quotidiana, ci sono esempi di metanarrativa, boutade comiche e riflessioni che suonano quasi come aforismi. Una raccolta che si può leggere tutta d’un fiato o centellinata, che tiene compagnia negli spazi minimi di libertà in giornate piene di impegni e che ci riporta, fra una call di lavoro, un corso su zoom e una diretta social, alla normalità grazie alla quiete intima della pagina scritta. Una lettura per chi vuole allenare la fantasia e lasciare spazio all’immaginazione, ma anche per chi – capita a molti in questo periodo – ha difficoltà ad approcciare il testo scritto, ad affrontare il silenzio protratto che l’atto di leggere impone. Polpette ti “riaddomestica” alla pagina, ma occorre stare attenti: non si tratta di una lettura facile. Al contrario, come per tutti i racconti ben scritti, impone uno spazio di riflessione al lettore. Il “trucco” di Masini è ben congegnato e appassiona anche i più accaniti detrattori della forma breve, che si ritrovano a sfogliare in modo appassionato la sua raccolta, ricredendosi pagina dopo pagina. A Polpette ti affezioni, anche se i personaggi ti sfiorano appena, anche se gli ambienti, gli spazi, le vicende sono appena suggerite. Forse sarà la prosa, fatta di quella semplice complessità che richiede molto lavoro di fino per risultare così accessibile, forse l’uso attento dello spazio, mai scarno, mai di troppo o forse gli spunti narrativi, curiosi, originali e eppure, stranamente, così familiari.

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Un libro per questi tempi faticosi, di cui abbiamo voluto parlare con l’autore in una breve chiacchierata.

Partiamo dalla domanda più banale: come nasce l’idea di Polpette?

Non saprei dirti esattamente come nasce, nel senso che dieci anni fa, un giorno, ho iniziato a scrivere storie brevissime. Mi era venuta voglia di assecondare la mia passione per i racconti brevissimi di Stevenson, Malerba, Charms, Orkeny, Michaux, Pignagnoli e molti altri, e ho iniziato a scrivere. L’idea di far stare una storia intera in pochissimo spazio mi affascinava da lettore, mi piaceva moltissimo leggere autori capaci di concentrare in pochissimo spazio una storia intera – o almeno quella che a me sembrava una storia intera – e ho provato a fare lo stesso.

La micro narrativa si sta affermando in tutto il mondo come nuova modalità di raccontare, ma anche di leggere. Le modalità di fruizione di questo tipo di racconti infatti sembrano conciliarsi bene non solo con i mezzi di diffusione dei contenuti, ma anche con i tempi di vita. L’Italia tuttavia è un paese non particolarmente abituato ai racconti, in cui – così sostengono gli editori – si fatica a vendere la raccolta di racconti in libreria. Pensi sia vero o si tratti di una “lentezza” rispetto al cambiamento del sistema editoriale? Soprattutto: qualcosa sta cambiando?

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Ora, questa è una cosa molto strana. Come scrive Gino Ruozzi nell’introduzione alla recente edizione di tutti i racconti di Malerba, ma come hanno scritto in passato lo stesso Malerba, Celati e diversi studiosi di storia della nostra letteratura, il racconto breve è uno dei patrimoni più rilevanti e consolidati della nostra tradizione. In particolare la Novella, che nel Medioevo e nel Rinascimento ha caratterizzato la letteratura italiana, rendendola popolare in tutto il mondo. Basti pensare al Decamerone, ma, ancora prima, alle favole di Leonardo Da Vinci. Quindi, se da un lato è vero – e ci ho pensato – che i tempi e i modi di fruizione contemporanei si adattano perfettamente alla brevità (i social dovrebbero insegnarlo), dall’altro le radici di questo tipo di raccontano affondano molto profondamente nella nostra storia, fino a Marziale e Fedro, se vogliamo. Quindi, secondo me, come capita spesso nel mondo dell’editoria, si è sparsa una chiacchiera senza troppo fondamento, è diventata una verità consolidata senza che nessuno sapesse bene perché, e poi è diventata una pessima pratica. Una pessima pratica con poca memoria, tra l’altro.

Quali sono, se ci sono, i tuoi modelli di riferimento nella narrativa breve o brevissima?

Alcuni li ho già citati, ma li nomino di nuovo e ne aggiungo altri. Penso alle Favole di Stevenson, che scrisse senza l’intenzione di pubblicarle e poi sono state pubblicate. Kafka, alcune cose di David Foster Wallace, Charms e Orkeny, il primo russo e il secondo ungherese, Michaux, Leonardo da Vinci e Gadda, ma soprattutto Zavattini e Malerba, che hanno fatto della brevità dei loro racconti un modo per indagare il mondo comprimendone le stranezze e le assurdità. Penso anche ad alcuni capolavori della Highsmith e di Borges. E ce ne sarebbero molti altri.

Quali sono le difficoltà cui va incontro chi vuole raccontare, in poco spazio, un mondo?

Onestamente non lo so. Da un lato mi viene da dire che sono le stesse difficoltà che incontra chiunque voglia raccontare una storia, quindi trovare i fatti, i personaggi e il tono del racconto. Dall’altro penso che la difficoltà maggiore consista nella necessità di vincere la nostra tendenza a spiegare le cose, a non fidarci dell’immaginazione di chi legge e quindi nella necessità di scegliere poche cose che diventino una costellazione, proprio come le stelle. Ci si deve fidare del fatto che pochi elementi, o pochi ingredienti, possano essere sufficienti per un buon racconto, o un buon piatto.

Una domanda leggera…hai un racconto preferito o a cui sei particolarmente legato all’interno della raccolta? E se sì perché?

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Allora, ne ho uno in effetti. Ed è una fiaba brevissima che si intitola ‘Il diavolo e la morte’. La prediligo perché, secondo me, è una specie di distillato ben riuscito di quello che avevo in mente scrivendo storie così brevi. Mi sembra nel solco delle cose che mi piacciono. E perché mi ricordo come e quando mi è venuta in mente, cioè dopo un attentato terroristico in Francia, che mi ha fatto pensare al fatto che la Morte e il Diavolo non lavorano insieme. Anzi, a ben vedere, seguono due strade molto diverse. E al Diavolo – qualunque cosa significhi – questa cosa non piace.

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