Letteratura

POESIA | Gilda Policastro

6 Febbraio 2019

 

Un nome che può essere Salim

 

Stacco tutto e me ne vado

È grosso, una stampella per parte

L’altro non sa scrivere il nome

Somalo? Etiopia. E te pareva,

quante possibilità ciàvevo, su un mijione

Promiscuità, è questo a definirci

nell’anticamera del reparto dove il sonno ci intuba

Staccati gli aghi ci sveglieremo tutti sani o più malati

a digiuno

e niente acqua dalla mezzanotte

Mettiamo un po’ di musica così ce passa,

s’infila i guanti per Salim, lui non sa scriverlo

ma lei lo ha imparato col tu democratico

degli ospedali

Scrollo le poesie del poeta operaio

dice rinchiudi un porco nel reparto

noi aspettiamo in fila dopo il girotondo

del rispondi alle domande

(allergie, farmaci, malattie importanti)

poi spostati tu da quella parte

(a fissargli l’ago, senza i guanti)

Siamo in quattro, guardiamo un po’ in aria

un po’ ci sorridiamo mentre Salim non ha capito

che deve togliersi la giacca

Glielo mimo pensando al cianciare brutto

di ogni Facebook sui cosiddetti

(categoria che vorrebbe smarcarsi)

Siamo fermi in questo spazio che ci contiene

insieme al tempo che a dispetto della musica non passa

Saremo fuori, prima o dopo, saremo a casa

Salim forse resta, l’infermiera ha detto il nome

del suo male che non ha capito lui solo,

finalmente senza giacca

 

***

Gilda Policastro è poetessa, romanziera, critica letteraria. Insegna poesia presso la scuola di scrittura Molly Bloom. Redattrice del sito Le parole e le cose, collabora con le pagine culturali del quotidiano Il Dubbio. Tra gli ultimi titoli di poesia, Non come vita (Aragno 2013), Inattuali (Transeuropa 2016), Esercizi di vita pratica (Prufrock spa 2017).

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