Letteratura
POCO POCO
La guardo togliersi gli stivali nel corridoio, accucciata su di sé, ancora col cappotto addosso: infagottata, stretta da una cintura di stoffa, con un colbacco di lana calato fin sulla fronte. Barcolla, non riesce a tenersi in equilibrio. «E dammi una mano, no?» mi dice, annaspando con le dita per aria, appoggiandosi a una parete. Io faccio finta di niente, mi gratto la schiena sullo stipite della porta di cucina. Perché aiutarla, se non mi è simpatica? Che rotoli pure per terra, lei con i suoi stivali e il suo colbacco, a far compagnia alla borsetta aperta sul pavimento, rovesciata su rossetti e ciprie e pastigliette. Ringhia: «Rimbambito!» finalmente a piedi nudi e trionfante, e poi mi si avvicina con l’indice teso, con gli occhi socchiusi dietro le lenti. «Hai già bevuto, eh? Di’ la verità: quanti bicchieri ti sei fatto?»
Alzo una spalla, non mi importa niente, dei suoi sospetti che possono anche essere giusti, ma non me ne importa niente. Mi siedo al tavolo, con le mani intrecciate tra le gambe, a dondolarmi un po’ sulla sedia. Lei è rimasta lì a spogliarsi, ma certo presto mi raggiungerà in cucina, spalancherà il frigo, si riempirà una tazza di latte. Arriva con addosso la vestaglia nera a fiori rosa, ciabatte ai piedi ma senza calze, cosicché le si vedono bene i peli scuri che spuntano sulle gambe pallide.
«Senti senti» comincia, ma parla a se stessa più che a me. «Che puzza di alcol, e di fumo, tutto impregnato di ’sto odore. Torno dall’ufficio, e già lì fumano tutti, che c’è la nebbia, da come fumano: torno a casa e sigarette anche qui. Tanto vale che cominci anch’io. Mi metto a fumare anch’io, ed è fatta. È fatta». Ripete sempre le frasi a chiusura del discorso. Mi fa un po’ sorridere questa sua isteria così scema, e infatti sorrido appena. «Ridi, eh? Ridi ridi, che il riso fa buon sangue. A te, non a me – prende fiato – A te, non a me». Scuoto la testa e non sorrido più, tanto perché la finisca. Invece riprende sorseggiandosi il suo latte che chissà come mai beve con tanta voluttà: forse perché lo considera un antiveleno. Antifumo, antialcol.
«Cos’hai fatto oggi?» Mi scruta con i suoi occhi biondi, socchiusi. Anch’io ce li ho biondi, gli occhi, ma più buoni. Lei mi assomiglia, vagamente, però è brutta: mentre io non sono bello, ma neanche brutto. «Ho fatto la spesa» vorrei elencare tutte le mie azioni con ordine, dalla prima all’ultima, ma in questo momento non le ho ben presenti, mi sento confuso.
Lei aspetta, ironica. «La spesa, e poi ho lavato l’insalata. Qualche cruciverba, e ho guardato la tivù dei ragazzi. Ho cambiato l’acqua al pesce…» Che è la cosa che preferisco tra tutte perché mentre gli cambio l’acqua gli parlo un po’, gli racconto qualche ricordo di tanti anni fa, e lui mi guarda coi suoi occhietti, non socchiusi, no: belli aperti. E sta zitto. «E poi ho iniziato a smontare l’albero: per ora ho tolto solo le palle rosse». «E hai bevuto – dice lei – E hai fumato. Quanto?» «Poco poco» la rassicuro io, più con un gesto della mano che con la voce. «Poco poco» mi fa il verso. Poi si alza e cantilena «Poco poco, poco poco…»
Mi viene voglia di strozzarla. Potrei saltarle addosso da dietro e stringerla alla gola. Pensionato strangola la figlia, scriverebbero. Ma lei è più forte di me, non né tipo da farsi eliminare così docilmente. Chissà come scalcerebbe. Mi viene da sorridere di nuovo a immaginarmi la scena: sedie per terra, urla, poi la polizia. Lei dice che io sorrido sempre perché sono alcolizzato, ma non è vero. Sorrido ai miei pensieri perché sono divertenti.
«Finirà che ti mando in un ospizio, così là ti controllano». Lo dice in continuazione per farmi paura, ma io non le credo più. Figuriamoci, come se non lo sapessi che la mia pensione le fa comodo, eccome. E che gli ospizi costano. Però questa minaccia mi ferisce ugualmente, e mi rattrista. Forse se ne accorge perché mi chiede cosa voglio da mangiare, poi senza aspettare risposta accende la radio.
C’è da scaldare la minestra, mi piacerebbe che ci mettesse il riso, dentro, ma mi secca chiederglielo. Due giorni all’Epifania. Basterebbe poco a renderci meno infelici, noi due, di quanto siamo. Un gesto affettuoso di lei, una carezza mia. Vedo che prende la scatola del riso e sono contento. Ogni tanto si scosta i capelli dalle guance, li tira dietro le orecchie: da qualche settimana li ha tinti di un rosso mogano, che è il colore che scelgono le donne in menopausa per nascondere il bianco che avanza. Ma le sta abbastanza bene, quel rosso lì, ha più carattere del suo castano naturale. Mi viene voglia quasi quasi di farle un complimento, e anzi glielo faccio.
«Sai che ti sta proprio bene quel colore ai capelli?» Rimango compiaciuto del suono della mia voce, quasi affettuoso, paterno. Grugnisce: «Cos’è, vuoi qualcosa, che mi fai questa sviolinata?» Rispondo «No, no», però in un lampo considero che è naturale non abbia trovato uno straccio di marito, con quel carattere che ha, sempre a pensare male di tutto e di tutti, così pungente e sarcastica. Si gratta la radice del naso: ce l’ha rotondo, anche un po’ lungo, ma soprattutto rotondo. E la bocca con gli angoli in giù, come le suocere nelle barzellette. Che poi anche questo non vuol dire, non si dovrebbe mai generalizzare: perché mia suocera, ad esempio, era stata una donna d’oro, allegra, generosa, bella donna, anche. E aveva passato queste doti a mia moglie. Chissà perché nostra figlia è venuta fuori così. La natura, a volte, fa certi scherzi brutti.
La minestra bolle, ci versa il riso. C’è un buon odore per tutta la cucina, e il vapore sulle piastrelle, e il rumore che fa un liquido quando bolle. Avverto forte la voglia di bere un goccetto, così, per brindare a lei che è tornata e mi prepara la minestra di riso. «Togliti. Devo apparecchiare» mi dice. «Manca molto?» «Eeeeh! Non vedi che ho appena buttato giù?» Prende il giornale e appoggiata al muro, sistematasi meglio gli occhiali, comincia a sfogliarlo. «Allora vado in bagno» dico, ma lei non risponde.
Entro in bagno, mi siedo sull’orlo della vasca. Nella giacca ho la bottiglietta di whisky che mi sono comprato al supermercato. Quella piatta, che se non la tocchi con la mano, quand’è infilata in tasca, da fuori non si vede. È già quasi vuota. Ma un goccetto c’è ancora. «Poco poco», e lo bevo d’un fiato, per festeggiare la Befana che arriverà tra due giorni.
In Fine dicembre, Le Onde, Chianciano Terme 2010, e in Inverni e primavere, (e-book) 2016
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