Letteratura
Perforiamo la cappa per riveder le stelle
Nella sua ultima fatica Marcello Veneziani ci offre la possibilità di comprendere quali siano stati gli effetti della pandemia e del conseguente lockdown sul nostro comportamento nelle sue ricadute psicologiche e sociali, all’ interno dei nuclei familiari e negli organismi collettivi.
Il suo libro, ”La Cappa” rappresenta una brillante e sfavillante critica del presente e non indugia a configurarsi come un saggio sociologo, bensì come una riflessione di ordine filosofico su come il potere, in tutte le articolazioni e nei suoi gangli, abbia gestito questa crisi epocale, senza che ci sia stata sul piano della colpevolezza la mano dell’uomo.
Una Cappa, dunque, ci opprime, non ci fa respirare, annienta il nostro pensiero, provoca la distruzione della nostra libertà.
Perché la paura di morire, di essere contagiati, ha assalito tutti noi durante il periodo acuto della crisi pandemica, ci siamo tuffati acriticamente nelle braccia del potere sanitario ed abbiamo richiesto protezione.
Ciò ha determinato una dittatura sanitaria, la nascita di protocolli da seguire che hanno indotto tutti noi a privarci di ogni senso critico, ad affidarci supinamente al sistema per farci tracciare, schedare, perdere ogni forma di riservatezza.
Scrive Veneziani: “ Una Cappa ci opprime, la sua densità ci impedisce di vedere oltre, di leggere dentro, che poi vuol dire essere intelligenti; di essere vivi a pieno respiro. Ne avverti il peso anche se la Cappa non ha fattezze e non ha confini, non si può misurare o paragonare, è ineffabile e avvolgente. Ci sei dentro, dunque non puoi valutarne l’ampiezza, lo spessore, la consistenza”.
Questa cappa non si può configurare, identificare, non è una persona fisica, né un comitato, partito politico, loggia massonica, potere occulto di origine illegale. Ma, poiché la tecnica ha superato il pensiero critico, lo ha irrimediabilmente dominato, la Cappa sovrasta con i suoi dettami e le sue regole e diventa virale, un algoritmo da seguire come il gregge il suo pastore.
Sostiene infatti Veneziani: “ Non c’è un caput, un colpevole o una cricca di colpevoli a cui far risalire tutto, non c’è un disegno o una centrale che dispone le sorti in una specie di pianificazione nefasta, il Gran Complotto dei demiurghi malefici che comandano il mondo. Puoi indicare e individuare responsabilità specifiche e complicità più vaste, non mancano fattori e agenti; ma non c’è il Nemico Assoluto e Malvagio, che un tempo si sarebbe chiamato il Demonio. Il vigente dispositivo non deriva da un despota. È ineffabile e perciò è inespugnabile, come un algoritmo. Virale”.
Ecco, allora, che La Cappa è come un diaframma, una coltre che impedisce di vedere, di ascoltare, di toccare, di annusare, di gustare.
Guardi in alto e non vedi nulla, non vedi limpidamente le cose che dovresti vedere, a cominciare dal cielo, il sole, la luna e le stelle, è come se avessi perso la distanza, la lungimiranza; allora pensi di vivere sotto una Cappa, immerso nella sua coperta pesante che non si vede, ma non ti fa vedere.
Un afflato anche poetico trasuda dalla prosa elegante, sul piano semantico e dalla costruzione del periodo sintattico. Veneziani ha un suo stile che si snoda tra lo scrivere magnificamente da giornalista ed una conoscenza di spessore scientifico della filosofia.
Ha dimostrato, con questo libro, di essere uno scrittore controcorrente, montanelliano, contro l’establishment: non hanno i giornaloni recensito “La Cappa”, ma il successo di pubblico è arrivato lo stesso, visto che è tra i primi posti nella classifica dei libri.
La Cappa non può essere perforata: siamo al cospetto di una via senza uscita. Usa un acronimo Veneziani: Tina che significa there is not alternative, non c’è alternativa, se non quella di pensare con senso critico, riappropriarci della nostra libertà, senza farci condizionare da un potere che intende penetrare nella nostra vita dominandola per intero.
Non disponiamo di altra arma, di altro potere, che la nostra facoltà di capire: l’intelligenza è la spada che salva o almeno perfora la Cappa asfissiante.
Puerile immaginare rivoluzioni, ribaltamenti.
Ma come si manifesta la Cappa?
1- La Cappa si dimostra con la biopolitica molto cara a Georges Bataille e Michel Foucault: è la politica applicata alla sfera dei corpi e alla loro salute. Anzi, a essere brutali, più che la biopolitica è sorto il biopotere, ossia potere assoluto nel nome della vita e della morte; ogni procedura, ogni restrizione, ogni divieto è stato ammesso per salvaguardare il bene supremo, che non è la salute del popolo ma di ciascuno. È il potere che garantisce la vita.
Il lascito peggiore della pandemia è proprio questo immiserirsi del nostro orizzonte di dignità, piegati a difendere la nuda vita. Contabilità non solo dei malati e dei deceduti, dei vaccinati e dei renitenti, ma riduzione dell’universo e della vita a esercizio contabile e stoccaggi.
La gente, seppur maledicendo e recalcitrando, alla fine ha preferito la sicurezza alla libertà, ha ceduto i diritti in cambio di protezione. E ha preferito conformarsi, obbedire ai protocolli per quieto vivere o solo per vivere, e accedere ai luoghi pubblici. Regressione allo stadio animale, di animali feriti e braccati. E spaventati. La gente è stata disposta alla sudditanza interna e internazionale, ai diktat sanitari, pur di salvare la pelle. Nel nome della protezione ha sacrificato la libertà, la vita, il lavoro, la sovranità, la felicità.
2- Nel cancellare il nostro passato, tradizione, storia, cultura.
C’è una cappa che impedisce ormai di vedere liberamente il passato, gli autori classici e soprattutto la storia, i suoi personaggi ed eventi. Eliminare ogni sapere che non sia finalizzato a uno scopo pratico, utilitaristico; subordinare il bello all’utile, stabilire il primato assoluto delle condizioni economiche su quelle «culturali».
3- Nel sostenere il politically correct.
Qui Veneziani sferra una critica spietata di rigore etico: il politically correct è “la pretesa di dire agli altri come devono essere, cosa devono dire, come devono comportarsi e correggersi. Presuppone la superiorità del giudicante e l’elevazione della sua ideologia a canone universale obbligato. Il politically correct, d’ora in poi in sigla Pc, è una lente ideologica correttiva che altera idee, fatti e lessico in base a un pregiudizio indiscutibile, assunto a priori come porta d’accesso alla verità, al bene e al progresso, magari nascosta dietro un feticcio-imperativo supremo: lo chiede l’Europa, lo esige la Modernità. Ciò che proviene dal passato è falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà come sono state finora intese, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno ridefinite e corrette. Il Pc è un busto ortopedico applicato alla mente, alla storia e alla vita; è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione; l’antifascismo in assenza di fascismo. Il Pc è il rococò della rivoluzione, come la posa residua del caffè, già bollito”.
4- Nella sorveglianza.
Qui Veneziani ci ricorda Michel Foucault con la sua opera “Sorvegliare e punire”. La sorveglianza rassicura, fa sentire protetti. Siamo localizzati, spiati e pedinati da sensori e telecamere.
Un’importante prova generale è sorta da noi con la vaccinazione di massa, istituendo una piattaforma per l’identità digitale. Il secondo passo è stato il passaporto vaccinale che, al di là del suo uso contingente e sanitario, permette di sorvegliare e tracciare i cittadini. L’identità digitale è la premessa per instaurare un regime di sorveglianza totale.
5- Nel configurare una società chiusa contrariamente a quanto aveva sostenuto Popper quando teorizzava la società aperta.
Si rovescia il paradigma: non è più adulta e responsabile la società aperta, bensì la società coperta che accetta limitazioni e sorveglianza.
La società aperta assumeva il rischio, l’imprevisto, l’ignoto come fattori costitutivi e positivi della libertà in politica e nell’economia, nei viaggi e nei rapporti con estranei. Ora invece si capovolge il paradigma: rischiare è considerata un’imprudenza e un’impudenza, un danno per sé e per gli altri. Meglio tenersi lontani dai rischi; non osare, non sfidare i limiti, rinchiudersi. La libertà è la possibilità di adottare varianti e alternative; ora proprio per impedire le varianti e tenere tutto sotto controllo sorge la società chiusa o coperta.
6- Nel respingere le narrazioni della filosofia.
Che cosa resta oggi della filosofia nell’era della Cappa globale? Non serve più all’umanità, che l’ha sostituita con la scienza, la tecnica, la psicanalisi e la medicina; non serve alla politica, che l’ha rimpiazzata con pratiche più efficaci d’immagine, consumo e consenso, e non servono più i grandi sistemi e i grandi racconti perché, paradossalmente, il mondo globale rigetta le visioni del mondo. Il caos/caso è il solo Regnante. Il filosofo è un figurante che mantiene un piccolo labile consenso se ripete che la filosofia è morta, non serve più. Per avere ascolto il filosofo deve attestare la sua inutilità, autocertificare il decesso. Il pensiero soffre d’asfissia, recluso sotto la Cappa, precluso agli orizzonti. La filosofia, invece, è universale, riguarda tutti, si occupa della relazione tra vita e pensiero, tra mondo e concezioni del mondo, tra corpo e mente, tra la vita e la morte, salute e malattia. Ogni filosofia è anche biosofia, riflessione sul nascere, vivere e morire, è una visione generale della vita e del mondo.
Lo hanno dimostrato Cacciari ed Agamben che hanno voluto contestare la dittatura sanitaria che ha imposto il vaccino, non lasciando decidere il cittadino e non offrendogli alcuna tutela se avesse manifestato il suo dissenso.
7-Nell’aver rimosso la parola “oppure”.
Va denunciata pubblicamente la scomparsa dell’Oppure. Una democrazia senza oppure non è democrazia, un pensiero senza oppure non è un pensiero, una libertà senza oppure non è libertà. Dove L’intelligenza si esercita sugli oppure: l’automa, l’imbecille, il gregge non conoscono l’oppure, procedono lungo il percorso prefissato, seguono l’input o l’impulso ricevuto. L’intelligenza, invece, è la capacità di studiare e provare varianti e alternative, collega il possibile al reale, comprende che le possibilità eccedono sui fatti, e le seleziona, le mette in campo. Per congiungere due punti non c’è solo la linea retta: la vita, il tempo, l’umanità, la storia e la natura non camminano nello spazio puro e vuoto delle linee geometriche; riconoscono l’intensità, la durata, la qualità, l’efficacia, la curiosità, l’emozione, la relazione, la logica, il ricordo, l’aspettativa, la fantasia e altro ancora. Oltre alla direzione lineare ci sono la dimensione sferica e circolare, la curvatura e la poligonia del mondo, con le sue tante facce.
Senza gli oppure si riduce tutto al senso unico; mortificando le differenze, la varietà. E si sopprime ogni opposizione, diversa visione, alternativa; la ricerca, la possibilità di vedere e agire altrimenti.
8-Nell’assenza di Dio.
Dio brilla per la sua assenza. Non lo trovi in giro, nella vita della gente, non lo trovi nel pensiero, non lo trovi neanche in Chiesa.Il vuoto che lascia è enorme, tutta la vita nostra si svolge intorno a quella voragine, sotto la cappa. Ed il mondo senza Dio è in preda al Caos e al Caso.
Ripartire dalla sua mancanza è l’inizio del pensare. Dio resta l’unico pensiero oltre la morte: tutto muore, tutti moriamo, eccetto Uno. Solo un Dio si può salvare. Parafrasando Heidegger, solo un dio potrebbe squarciare la Cappa che incombe sul mondo. Pensarlo ci predispone all’avvento. Dio però non appare, non abbiamo occhi per vederlo o non verrà da dove lo abbiamo finora atteso. Una religione tramonta e Dio albeggia; ma la Cappa è una fitta nebbia che impedisce di intravederlo, se non in remoti bagliori. E se ripensassimo alla preghiera al significato profondo del Padrenostro, potremmo comprendere l’Eterno.
9-La Cappa provocherà la Mutazione.
La Mutazione inanella la paura, il terrore dei contagi e dell’esterno; quindi il mistero, la percezione di trovarsi di fronte a eventi imponderabili, di cui ci sfugge l’essenziale come i suoi esiti, anche se ci sono noti i dati; poi determinerà l’isolamento radicale di massa come mai avevamo vissuto prima; quindi la prossimità del limite, inteso come confine invalicabile, ma anche come vicinanza della morte, che avevamo rimosso; infine la noia della cattività, il vuoto dei giorni e della vita, l’assenza di aspettative, se non l’appello biologico ad auto-conservarsi.
10-Ci precluderà il futuro.
L’avvenire ha smesso di far parte dei nostri orizzonti d’aspettativa, anzi, quando si accenna al futuro il sentimento prevalente è l’angoscia.
Siamo investiti dalla malinconia, non riusciamo a elaborare la perdita di senso, futuro e libertà.
Ma come si rimuove la Cappa?
Non manca solo la fede in qualcosa ma anche un pensiero all’altezza della situazione, in grado di darci una ragione per vivere e per affrontare il frangente con risorse adeguate.
Un pensiero nuovo è rielaborazione critica, originalità alla ricerca dell’origine. Pensare il nuovo non vuol dire pensare ciò che non esiste, creare dal nulla, abitare l’utopia. Ma significa disporsi alla nascita, al rinnovamento, sapendo che ogni aurora comporta un tramonto e il nuovo mattino rinnoverà l’eterna promessa di un giorno che inizia e finisce, compiendo il suo ciclo.
Si può solo tentare di perforare la Cappa con l’intelligenza critica e la passione ideale; sottraendosi il più possibile all’oppressione, si possono volgere gli occhi altrove, anche quelli della mente, per non subire il plumbeo presente. E poi affidarsi all’amor fati.
Salire, ripartire dall’alto, da una visione spirituale, misurare la realtà con altri parametri, avendo altre priorità. Vedere il mondo con altri occhi, sotto altra luce, lo ripetiamo, aperti alla sorpresa dell’imprevedibile, per uscire fuori a riveder le stelle.
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