Letteratura
“Perdersi”: una storia scomoda, ma umana
Perdersi (ed. L’orma, 2023) di A. Ernaux è l’ampliamento – come l’autrice stessa dichiara nel testo – di un precedente romanzo del Premio Nobel francese, Passione semplice. In effetti la trama è la stessa: una donna si consuma d’amore per un rozzo diplomatico russo che le dedica solo ritagli di tempo.
Tuttavia c’è, tra il primo e il secondo libro, un’evoluzione che la scrittrice nelle pagine iniziali mette in evidenza: Passione semplice – nota A. Ernaux – è il racconto di “una passione che mi aveva attraversato e che continuava a vivere in me”; in Perdersi, invece, è presente una “verità diversa”, “qualcosa di crudo e oscuro, senza salvezza, qualcosa dell’oblazione”, che l’autrice affida non a un semplice racconto, ma a un dettagliato diario scritto in prima persona in cui voce narrante e prospettiva dell’autrice coincidono perfettamente, secondo una formula più propriamente autobiografica che contraddistingue lo stile di A. Ernaux.
L’ambientazione storica è quella dello sfaldamento politico dell’URSS: “ il muro di Berlino era caduto da pochi giorni”. Tuttavia, ammette la scrittrice parlando del suo libro, “il mondo esterno è pressoché assente da queste pagine”: lo sguardo dell’io narrante è tutto rivolto all’esame radiografico della dimensione interiore. Perdersi è un’autoanalisi estrema, una radicale anatomia della propria ossessione erotica che Jonathan Bazzi nella sua recensione su Domani definisce crudamente come un’offerta di sé “impresentabile, oscena e persino ridicola”.
Il titolo del romanzo ha un valore duplice. Allude certamente al fatto che la storia tra i due amanti dura circa due anni per poi restare solo nella memoria della protagonista che nel suo diario dimostra come sia facile e nello stesso tempo doloroso, perdersi, allontanarsi, dopo aver condiviso molte emozioni, e lasciare che un legame, pur così intensamente vissuto, evapori. Se però si guarda al modo disperato in cui l’io narrante vive le interminabili attese, spesso deluse, degli arrivi o anche solo delle telefonate del suo uomo, perdersi assume un altro significato. Se si osservano, infatti, con attenzione la totale dipendenza psicologica, “l’assoggettamento” – come lo chiama Ernaux – la completa sottomissione fisica, fino all’autoannullamento, della protagonista, si comprende che perdersi è il verbo che meglio esprime il naufragio identitario ed esistenziale della voce narrante femminile completamente spossessata di sé.
La protagonista di Perdersi sa fin dall’inizio che “tutto, un giorno, deve finire”; il suo uomo è sposato, non ha nessuna intenzione di lasciare la moglie e non ha fatto nessun tipo di promessa: gli incontri sono fugaci, irregolari e occasionali. E questa certezza genera nella donna un “terrore senza nome” simile a quello che – spiega l’autrice nel romanzo – pervade il neonato quando è lontano dalla madre, ma che il bambino gradualmente supera nel momento in cui “diventa capace di conservare in sé l’immagine della mamma anche mentre lei è assente”. E invece nella protagonista questo terrore non l’abbandona mai, al punto che la vita senza il suo uomo perde ogni senso: “vivo in un dolore anestetizzato”.
Per ritornare, dunque, al giudizio sicuramente sferzante, ma anche per certi versi condivisibile, di J. Bazzi, è lecito chiedersi come sia possibile che una scrittrice, femminista, abituata alle letture di S. de Beauvoire, più volte citata in Perdersi, abbia potuto cedere a una forma di sudditanza erotica simile, a un’alienazione senza controllo.
Ernaux sa descrivere con precisione diagnostica come tutto ciò che di bello c’è nell’amore possa trasformarsi in dolore: la speranza diventa frustrazione, l’eros sfuma in senso di dominio da parte di un uomo volgare e autocentrato, l’attesa è ansia sfibrante o rassegnata procrastinazione.
Quello che di poco comprensibile, di irrazionale, c’è in questa relazione tra una donna sensibile, profonda, colta e un uomo egoista, “vanesio, sicuro di sé” spesso ubriaco, in cerca di piacere senza troppo coinvolgimento affettivo, nelle parole di Ernaux diventa sostanza vitale.
È difficile giudicare Perdersi, ma del resto anche questo fanno i lettori quando scelgono di arrivare fino in fondo alle pagine di un libro: le valutano. Certo non sbaglia J. Bazzi nel definirlo il racconto di un’oscena ossessione erotica, ma ha ragione anche Romano Luperini quando scrive che Ernaux sa “rappresentare – limpidamente, con durezza, con fermezza – la contraddizione che vive, senza orpelli”.
Perdersi è un romanzo che dà voce a un’indicibile verità: sul labirintico animo femminile nessuna ideologia può lasciare impronte.
Quella di Perdersi è una storia umana, scomoda, ma umana.
(Cfr. https://laprofonditadellecose.blogspot.com/2024/01/annie-ernaux-perdersi.html?m=1)
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